Bookmark and Share

Advent 1979

Pope Saint John Paul II's homily at Holy Mass on 1st Sunday of Advent
St Clement parish, Rome
Sunday 2 December 1978 - also in French, Portuguese & Spanish

"1. Desidero salutare tutta la vostra parrocchia nel nome di colui che è il suo Patrono: San Clemente, uno dei primi successori di San Pietro, Vescovo di Roma, vissuto alla fine del primo secolo dopo Cristo, testimone della fede apostolica, esule e martire. Diriga egli i nostri passi ed accompagni questa visita che, dopo 19 secoli, compie, nella parrocchia a lui dedicata, il suo successore in Roma. Interceda per noi e parli a noi con l’eloquenza di quella testimonianza apostolica, nella quale è vissuta questa città ai suoi tempi, appena qualche decina di anni dopo i Santi Pietro e Paolo.

La città di una particolare scelta da parte di Dio: potessimo noi sempre meritare, con la nostra vita e con la nostra condotta, questa scelta insolita! Possa servire a tale scopo anche la visita odierna alla vostra parrocchia!

In conformità con la tradizione apostolica, inizio questa visita con un saluto rivolto a Dio e al nostro Signore Gesù Cristo “che è, che era e che viene” (Ap 1, 8). E, nello stesso tempo, con un saluto rivolto a tutta la vostra comunità in Cristo.

Anzitutto, un cordiale saluto al vostro zelante parroco, Monsignor Vincenzo Pezzella, e ai sacerdoti che con lui collaborano nella cura pastorale; alle buone Suore della Congregazione del “Divino Amore” e a tutte le Religiose, che vivono ed operano nell’ambito della parrocchia; alle 6.000 famiglie, ai padri, alle madri, a tutti i 24.000 fedeli, che formano la Chiesa viva in questa zona di Roma, e che dal 1956, cioè da 23 anni, costituiscono la parrocchia.

Il mio paterno saluto va anche ai bambini, agli adolescenti, ai giovani, alle giovani coppie, agli anziani, agli ammalati. Un saluto di compiacimento e di incoraggiamento a tutti coloro che, sacrificando generosamente il loro tempo, si dedicano, secondo le proprie possibilità e capacità, ad essere disponibili per il vario e complesso lavoro che si svolge in questa comunità, così vivace, dinamica e attiva. Un plauso, in particolare, a quanti si consacrano con impegno alla catechesi parrocchiale a tutti i livelli.

Ed aggiungo, anche, in questa gioiosa circostanza, l’augurio che siano presto superate tutte le difficoltà e che siano trovati i mezzi adeguati perché possiate avere un tempio, non più provvisorio, e accomodato, ma bello e definitivo, quale lo sognate e lo desiderate, insieme con i vostri sacerdoti, da tanti anni.

2. Avvento: Prima domenica d’Avvento. “Ecco verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali io realizzerò le promesse...” (Ger 33, 14): leggiamo oggi queste parole del libro del profeta Geremia e sappiamo che esse annunziano l’inizio del nuovo anno liturgico e, nello stesso tempo, annunziano il momento imminente, già in questa liturgia, della natività del Figlio di Dio dalla Vergine. A tale momento nell’anno liturgico della Chiesa, a questa grande e gioiosa solennità, ci prepariamo ogni anno. Desidero che anche la mia odierna visita nella parrocchia di San Clemente serva a questa preparazione. Infatti, il giorno in cui nasce Cristo deve portarci (come annuncia lo stesso profeta Geremia) questa gioiosa certezza che “il Signore è la nostra giustizia” (cf. Ger 33, 16).

3. Per il Natale la Chiesa si prepara in modo del tutto particolare. Ci ricorda lo stesso evento, che ha presentato recentemente, alla fine quasi dell’anno liturgico. Ci ricorda, cioè, il giorno dell’ultima venuta di Cristo. Vivremo in modo giusto il Natale, cioè la gioiosa prima venuta del Salvatore, quando saremo consapevoli della sua ultima venuta “con potenza e gloria grande” (Lc 21, 27), come dichiara il Vangelo di oggi. In questo brano c’è una frase, sulla quale voglio richiamare la vostra attenzione: “Gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra” (Lc 21, 26).

Richiamo l’attenzione perché anche nella nostra epoca la paura “di ciò che dovrà accadere sulla terra” si comunica agli uomini.

Il tempo della fine del mondo nessuno lo conosce “ma solo il Padre” (Mc 13, 32), e perciò da quella paura, che si comunica agli uomini del nostro tempo, non deduciamo alcuna conseguenza per quanto riguarda il futuro del mondo. Invece, è bene fermarsi su questa frase del Vangelo odierno. Per vivere bene il ricordo della memoria della nascita di Cristo, bisogna tener bene in mente la verità sull’ultima venuta di Cristo; su quell’ultimo Avvento. E quando il Signore Gesù dice: “State bene attenti... che quel giorno non vi piombi addosso improvviso, come un laccio” (Lc 21, 34), allora giustamente sentiamo che egli parla qui non solo dell’ultimo giorno di tutto il mondo umano, ma anche dell’ultimo giorno di ogni uomo.

Quel giorno, che chiude il tempo della nostra vita sulla terra e apre davanti a noi la dimensione dell’eternità, è anche l’Avvento. In quel giorno verrà a noi il Signore come Redentore e Giudice.

4. Così dunque, come vediamo, è molteplice il significato dell’Avvento, che, come tempo liturgico, ha inizio con la domenica odierna. Sembra però che soprattutto la prima delle quattro domeniche di questo periodo voglia parlarci con la verità del “passare”, a cui sono sottoposti il mondo e l’uomo nel mondo. La nostra vita nel mondo è un “passare”, che inevitabilmente conduce al termine. Tuttavia, la Chiesa vuol dire a noi – e lo fa con tutta la perseveranza – che questo passare e quel termine sono, nello stesso tempo, avvento: noi non solo passiamo, ma contemporaneamente ci prepariamo! Ci prepariamo all’incontro con lui.

La fondamentale verità sull’Avvento è, nello stesso tempo, seria e gioiosa. È seria: risuona in essa lo stesso “vegliate” che abbiamo sentito nella liturgia delle ultime domeniche dell’anno liturgico. Ed è, nello stesso tempo, gioiosa: l’uomo infatti non vive “nel vuoto” (lo scopo della vita dell’uomo non è “il vuoto”). La vita dell’uomo non è soltanto un avvicinarsi al termine, che insieme alla morte del corpo significherebbe l’annientamento di tutto l’essere umano. L’Avvento porta in sé la certezza della indistruttibilità di questo essere. Se ripete: “Vegliate e pregate...” (Lc 21, 36), lo fa perché possiamo essere preparati a “comparire davanti al Figlio dell’uomo” (Lc 21, 36).

5. In questo modo, l’Avvento è anche il primo e fondamentale tempo di scelta; accettandolo, partecipando ad esso, scegliamo il principale senso di tutto la vita. Tutto ciò che avviene tra il giorno della nascita e quello della morte di ognuno di noi, costituisce, per così dire, una grande prova: l’esame della nostra umanità. E perciò, quell’ardente richiamo di San Paolo nella seconda lettura di oggi: il richiamo a potenziare l’amore, a rendere saldi e irreprensibili i nostri cuori nella santità; l’invito a tutto il nostro modo di comportarci (in linguaggio d’oggi si potrebbe dire “a tutto lo stile di vita”), all’osservanza dei comandamenti di Cristo. L’Apostolo insegna: se noi dobbiamo piacere a Dio, non possiamo perseverare nella stasi, dobbiamo andare avanti, cioè “per distinguerci ancora di più” (cf. 1 Ts 4, 1). Ed è così infatti. Nel Vangelo vi è un invito al progresso. Oggi tutto il mondo è pieno di inviti al progresso. Nessuno vuole essere un “non-progressista”. Si tratta, tuttavia, di sapere in che modo si debba e si possa “essere progressisti”, in che cosa consista il vero progresso. Non possiamo passare tranquillamente al di sopra di queste domande. L’Avvento porta in sé il significato più profondo del progresso. L’Avvento ci ricorda ogni anno che la vita umana non può essere una stasi. Deve essere un progresso. L’Avvento ci indica in che cosa consiste questo progresso.

6. E perciò aspettiamo il momento della nuova nascita di Cristo nella liturgia. Poiché egli è Colui che – come dice il Salmo di oggi – “addita la via giusta ai peccatori; guida gli umili secondo giustizia, insegna ai poveri le sue vie” (Sal 25, 8-9).

E quindi verso Colui che verrà – verso Cristo – ci rivolgiamo con piena fiducia e convinzione. E diciamo a lui:

Guida!
Guidami nella verità!
Guidaci nella verità!
Guida, o Cristo,
nella verità i padri e le madri di famiglia della parrocchia:
spronati e fortificati
dalla grazia sacramentale del matrimonio
e consapevoli di essere sulla terra
il segno visibile
del tuo indefettibile amore per la Chiesa,
sappiano essere sereni e decisi
nell’affrontare con coerenza evangelica
le responsabilità della vita coniugale
e dell’educazione cristiana dei figli.

Guida, o Cristo, nella verità
i giovani della parrocchia:
che non si lascino attrarre
dai nuovi idoli,
quali il consumismo ad oltranza,
il benessere ad ogni costo,
il permissivismo morale,
la violenza protestataria,
ma vivano con gioia il tuo messaggio,
che è il messaggio delle Beatitudini,
il messaggio dell’amore verso Dio
e verso il prossimo,
il messaggio dell’impegno morale
per la trasformazione autentica della società.

Guida, o Cristo, nella verità
tutti i fedeli della parrocchia:
che la fede cristiana
animi tutta la loro vita
e li faccia diventare, di fronte al mondo,
coraggiosi testimoni
della tua missione di salvezza,
membri coscienti
e dinamici della Chiesa,
lieti di essere figli di Dio
e fratelli, con te, di tutti gli uomini!
Guidaci, o Cristo, nella verità!
Sempre!"

Pope Saint John Paul II's homily at Holy Mass on 2nd Sunday of Advent
Parrocchia Romana di Santa Maria Addolorata a Vill Gordiani
Sunday 9 December 1978 - also in French, Portuguese & Spanish

"Carissimi fedeli!
Sono lieto di trovarmi in mezzo a voi in questa seconda Domenica di Avvento e di potervi manifestare personalmente il mio affetto. Voglio prima di tutto pubblicamente salutare e ringraziare il Vescovo Ausiliare di questo settore della diocesi di Roma, Monsignor Giulio Salimei, il Parroco Padre Angelo Emerico Gagliarducci e i suoi collaboratori, religiosi dell’Ordine dei Servi di Maria, che, dalla costituzione della parrocchia nel gennaio 1958, con infaticabile ardore si prendono cura di questa vasta e numerosa Comunità.

Rivolgo poi un saluto a quanti lavorano e si prodigano per l’annunzio del Vangelo, per la salvezza e la santificazione delle anime, per l’aiuto caritatevole ai bisognosi di pane o di conforto: le Reverende Suore “Pie Operaie dell’Immacolata Concezione”, che con generosa dedizione attendono ai bambini dell’asilo e ai ragazzi delle Scuole Elementari; il Consiglio Pastorale; i numerosi Catechisti, giovani e adulti; i vari gruppi di Azione Cattolica e di altre esperienze ecclesiali; gli uomini e le dame della “San Vincenzo”; i gruppi sportivi e i membri del movimento “Terza età”, dedito alla cura e all’accoglienza delle persone anziane.

Estendo il mio affettuoso saluto a tutta la grande famiglia parrocchiale, composta da oltre trentacinquemila persone! Tutti voglio stringere al mio cuore, in nome di Cristo! Desidero che tutti sappiano di essere amati dal Papa, particolarmente i malati, i sofferenti, i disoccupati, i giovani che vivono lontani dalla Chiesa e dalla grazia, i genitori preoccupati a causa di tanti e complicati problemi della vita moderna, tutti coloro che per qualche motivo si trovano emarginati dalla vita parrocchiale.

Il mio saluto è strettamente unito alla preghiera. Pensando a tutti gli abitanti della parrocchia, e particolarmente a quelli più impegnati nel lavoro apostolico, posso ripetere le parole di San Paolo: “Fratelli, prego sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera, a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del Vangelo dal primo giorno fino al presente...” (Fil 1,4-5).

Infatti, il primo dovere del Vescovo è la preghiera per tutti coloro che Dio gli ha affidati in questa Chiesa. Per ogni parrocchia. Prima di venire a visitarla, egli è, mediante la preghiera, in contatto spirituale con essa. E dopo aver compiuto la visita, questo contatto continua in maniera ancora più cordiale.

E qui mi sia consentito di richiamarmi, di nuovo, alle parole dell’Apostolo: “Dio mi è testimonio del profondo affetto che ho per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù” (Fil 1,8). Queste parole trasferite nel contesto del nostro incontro d’oggi testimoniano che questa visita non è soltanto un obbligo e un dovere del servizio pastorale, ma è soprattutto un vero bisogno del cuore.

2. Nella liturgia dell’odierna domenica d’Avvento, che è la seconda di questo periodo, molto spesso si ripete la medesima parola invitando, per così dire, a concentrare su di essa la nostra attenzione. È la parola: “preparate”. “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri... ogni uomo vedrà la salvezza di Dio” (Lc 3,4.6). L’abbiamo sentito, poco fa, nel Vangelo secondo San Luca, e prima ancora nel canto solenne dell’Alleluia.

Questa parola la Chiesa la riprende oggi dalla bocca di Giovanni Battista. È stato lui ad insegnare così, ad annunziare in questo modo quando la parola di Dio scese su di lui nel deserto (cf. Lc 3,2). Egli l’accolse e “percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione” (Lc 3,3). La parola “preparate” è la parola della conversione – in greco le corrisponde l’espressione “metànoia” –: da ciò si vede che questa espressione viene rivolta all’uomo interiore, allo spirito umano.

E in tal modo bisogna comprendere la parola “preparate”. Il linguaggio del predecessore di Cristo è metaforico. Egli parla delle vie, dei sentieri che bisogna “raddrizzare”, dei monti e dei colli che devono essere “abbassati”, dei burroni che bisogna “riempire”, e cioè colmare per elevarsi a un livello adeguatamente più alto; parla infine dei luoghi impervi che devono essere spianati.

Tutto ciò è detto in metafora: così come se si trattasse di preparare l’accoglienza di un particolare ospite al quale si deve facilitare la strada, per cui si deve rendere accessibile il paese, farlo attraente e degno di essere visitato. Così come, per esempio, gli Italiani hanno reso attraenti e degne di essere visitate dai turisti e dai pellegrini di tutto il mondo le regioni montagnose e rocciose del loro Paese.

Ora, questa splendida metafora di Giovanni, nella quale riecheggiano le parole del grande profeta Isaia che si riferiva al paesaggio della Palestina, esprime ciò che bisogna fare nell’anima, nel cuore, nella coscienza per renderli accessibili al Supremo Ospite: a Dio, che deve venire nella notte di Natale e deve arrivare poi continuamente nell’uomo e finalmente giungere per ognuno alla fine della vita e per tutti alla fine del mondo.

3. Questo è il significato della parola “preparate” nella liturgia d’oggi. L’uomo, nella sua vita, si prepara costantemente a qualche cosa. La mamma si prepara a mettere al mondo il bambino e provvede per lui le diverse cose necessarie, dalla carrozzella ai pannolini; il ragazzo e la ragazza, da quando incominciano a frequentare la scuola, sanno che bisogna quotidianamente prepararsi per le lezioni.

Anche gli insegnanti devono prepararsi per poter tenerle bene. Lo studente si prepara agli esami. I fidanzati si preparano al matrimonio. Il seminarista si prepara all’ordinazione sacerdotale. Uno sportivo si prepara per le sue competizioni. Un chirurgo all’operazione. E l’uomo gravemente malato si prepara alla morte.

Da questo si vede che noi viviamo preparandoci sempre a qualche cosa. Tutta la nostra vita è una preparazione di tappa in tappa, di giorno in giorno, da un compito all’altro.

Quando la Chiesa, nell’odierna liturgia di Avvento, ci ripete il richiamo di Giovanni Battista pronunciato sul Giordano, vuole che tutto questo “prepararsi” di giorno in giorno, di tappa in tappa, che costituisce la trama di tutta la vita, noi lo riempiamo con il ricordo di Dio. Poiché, in fin dei conti, ci prepariamo all’incontro con lui. E tutta la nostra vita sulla terra ha il suo definitivo senso e valore quando a quell’incontro sempre ci prepariamo costantemente e coerentemente: “Sono persuaso – scrive San Paolo ai Filippesi – che colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo” (Fil 1,6). Questa “opera buona” è stata iniziata in ognuno di noi già nel momento del concepimento, nel momento della nascita, perché abbiamo portato con noi nel mondo la nostra umanità e tutti i “doni della natura” che ad essa appartengono. Tanto più questa “opera buona” è stata iniziata in ciascuno di noi per il Battesimo, quando siamo diventati figli di Dio ed eredi del suo Regno. Bisogna sviluppare quest’“opera buona” di giorno in giorno con costanza e con fiducia fino alla fine, “fino al giorno di Cristo”. In questo modo tutta la vita diventa cooperazione con la Grazia e diventa maturazione a questa pienezza che Dio stesso aspetta da noi.

Ognuno di noi, infatti, rassomiglia a quell’agricoltore di cui parla il salmo responsoriale di oggi: “Chi semina nelle lacrime / mieterà con giubilo. / Nell’andare, se ne va e piange, / portando la semente da gettare, / ma nel tornare viene con giubilo, / portando i suoi covoni” (Sal 126,5-6).

4. Sforziamoci di vedere così tutta la nostra vita. Essa è tutta un avvento. E proprio perciò è “interessante” e vale la pena di essere vissuta in pienezza, è degna dell’essere creato a immagine e somiglianza di Dio: in ogni vocazione, in ogni situazione, in ogni esperienza.

Perciò una particolare eloquenza e attualità acquistano le parole dell’Apostolo della seconda lettura della Liturgia di oggi: “Prego sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera, a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del Vangelo dal primo giorno fino al presente, e sono persuaso che colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. Dio mi è testimone del profondo affetto che ho per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù. E perciò prego che la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quei frutti di giustizia che si ottengono per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio” (Fil 1,4-6).

È così. Per questo prego e per questo continuerò a pregare, dopo la visita, per ciascuno di voi, cari Fratelli e Sorelle, e per tutti, per tutta la parrocchia di Santa Maria Addolorata ai Gordiani.

Desidero però raccomandare anche alle vostre preghiere tre intenzioni in particolare:

– Vi raccomando la partecipazione alla Santa Messa festiva. Siete cristiani, e perciò non tralasciate mai la Santa Messa. L’incontro con Gesù e con la comunità parrocchiale è un dovere, ma deve essere anche una gioia e una vera consolazione e completate tale partecipazione con la Santa Comunione! E chiediamo anche la grazia di avere una Chiesa degna e sufficiente per le necessità della parrocchia.

– Vi raccomando l’istruzione religiosa. Mi compiaccio vivamente che la catechesi sia così ben organizzata, con metodo e serietà, e incoraggio l’opera intelligente e indefessa dei vostri sacerdoti verso tutte le categorie di persone. L’istruzione religiosa diventi sempre più curata da voi.

– Raccomando infine i giovani. Fate in modo che essi possano essere seguiti, aiutati, illuminati, interessati, amati, lanciati verso grandi ideali, tra cui anche la vocazione sacerdotale, religiosa, missionaria. Offriamo le nostre preghiere e le nostre intenzioni alla Madonna Addolorata, qui venerata con tanta devozione, e a lei chiediamo la forza, il coraggio, l’aiuto di essere sempre cristiani convinti e coerenti.

Vi auguro una buona preparazione alla festa di Natale. Auguro ogni bene per l’anima e per il corpo. Auguro la pace della coscienza. Auguro la grazia dell’Avvento.

Il Signore è vicino."

Pope Saint John Paul II's homily at Holy Mass on 3rd Sunday of Advent
Parrocchia Romana dei Santi XII Apostoli
Sunday 16 December 1978 - also in Portuguese & Spanish

"“Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo” (Fil 1,2).

Con queste parole, indirizzate da San Paolo ai primi cristiani della città di Filippi, rivolgo il mio affettuoso saluto alla comunità parrocchiale dei Dodici Apostoli.

1. Esprimo, innanzitutto, un saluto al Cardinale Vicario e ai Presuli che hanno voluto partecipare a questa celebrazione eucaristica. Un saluto cordiale ai Membri della Curia Generalizia dei Padri Francescani Minori Conventuali, i quali dal 1463 hanno la cura pastorale di questa insigne Basilica. Un fraterno saluto al Parroco, Padre Domenico Camusi, e ai Religiosi che dedicano le loro energie al bene delle anime di questa zona del centro storico di Roma.

Desidero inoltre salutare i numerosi Religiosi che vivono nell’ambito della parrocchia: i Padri Serviti, i Missionari di San Vincenzo, i Padri Gesuiti della Pontificia Università Gregoriana e del Pontificio Istituto Biblico, che ho visitato ieri sera; né posso dimenticare le Religiose: le Suore di Maria Riparatrice, le Suore del Sacro Cuore, le Figlie di San Paolo, le Suore Polacche, che sono al servizio del Collegio Americano.

Un saluto particolare infine a tutti i fedeli: uomini, donne, bambini, bambine, ragazzi e ragazze, giovani, anziani, i quali formano le “pietre vive” (1Pt 2,5) di questa comunità parrocchiale, la quale – è vero – non è molto vasta – conta infatti circa 800 anime con 272 famiglie – ma non è meno ricca di vitalità e carica di problemi di carattere pastorale.

2. La terza domenica d’Avvento ci offre sempre accenti particolari ai gioia, che si manifestano con colori caldi nella sua veste liturgica. La gioia è antitesi della tristezza e del timore. E perciò, invitando alla gioia, il profeta Sofonia proclama: “Non temere, Sion, / non lasciarti cadere le braccia! / Il Signore tuo Dio in mezzo a te / è un Salvatore potente. / Esulterà di gioia per te, / ti rinnoverà con il suo amore, / si rallegrerà per te con grida di gioia, / come nei giorni di festa” (Sof 3,16-18).

Sentiamo ormai la vicinanza del Natale. L’Avvento ci avvicina ad esso attraverso le sue quattro domeniche, di cui l’odierna è la terza. Lo stesso invito alla gioia ripete San Paolo nella lettera ai Filippesi. Mentre il profeta ha annunziato la presenza del Signore in Sion, l’Apostolo preannuncia la sua vicinanza: “Rallegratevi nel Signore, sempre: ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino!” (Fil 4,4-5).

3. La consapevolezza della vicinanza di Dio, che viene per “essere con noi” (Emmanuele), deve rispecchiarsi in tutta la nostra condotta. E di questo ci parla la liturgia odierna soprattutto per bocca di San Giovanni Battista, che predicava presso il Giordano. Diversi uomini vengono da lui per domandargli: “Che cosa dobbiamo fare?” (Lc 3,10). Le risposte sono varie.

Una per i pubblicani, un’altra per i soldati: invita i primi all’onestà professionale; gli altri a rispettare il prossimo nei semplici problemi umani. E tutti invita allo stesso atteggiamento, al quale avevano invitato i profeti in tutta la tradizione dell’Antico Testamento: a condividere tutto con gli altri; a mettersi al loro servizio secondo la propria abbondanza; a compiere opere di benevolenza e di misericordia.

Queste risposte di Giovanni presso il Giordano le potremmo allargare e moltiplicare, trasferendole anche ai nostri tempi, alle condizioni in cui vivono gli uomini d’oggi. La sensazione della vicinanza di Dio provoca sempre domande simili a quelle che sono state poste a Giovanni presso il Giordano: “Che cosa devo fare?”. “Che cosa dobbiamo fare?”. La Chiesa non cessa di rispondere a queste domande. Basta leggere con attenzione i documenti del Concilio Vaticano II per constatare a quante domande dell’uomo contemporaneo il Concilio abbia dato le risposte adatte. Risposte indirizzate a tutti i cristiani e ai singoli gruppi, ai Vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi, ai laici, alle famiglie, alla gioventù, agli uomini della cultura e della scienza, agli uomini dell’economia e della politica, agli uomini del lavoro...

4. Bisogna, tuttavia, che quella domanda: “Che cosa dobbiamo fare?” sia rivolta non solo da tutti ma anche da ciascuno. Non solo dai singoli gruppi e comunità in base alla loro responsabilità sociale, ma anche nel profondo della coscienza di ciascuno di noi. Cosa devo fare? Quali sono i miei concreti doveri? Come devo servire il vero bene ed evitare il male? Come devo realizzare i compiti della mia vita?

L’Avvento conduce ciascuno di noi, per così dire, “nell’interna stanza del suo cuore” per vivere qui la vicinanza di Dio, rispondendo alla domanda, che questo cuore umano deve porsi nell’insieme della verità interiore.

E quando, così sinceramente e onestamente, ci poniamo questa domanda, al cospetto di Dio, allora si compie sempre ciò di cui parla Giovanni presso il Giordano nella sua suggestiva metafora: ecco il ventilabro per ripulire l’aia. Esso permette all’agricoltore di raccogliere il frumento nel granaio, la pula da bruciare col fuoco (inestinguibile) (cf. Lc 3,17). Proprio così bisogna fare più di una volta. Bisogna concentrarsi dentro di sé, con l’aiuto di questa luce, che lo Spirito Santo non ci risparmierà, delineare in sé e separare il bene e il male. Chiamare per nome l’uno e l’altro, non ingannare se stessi. Allora, questo sarà un vero “Battesimo”, che rinnoverà l’anima. Colui che “è vicino” (Fil 4,5) viene a battezzarci in Spirito Santo e fuoco (cf. Lc 3,18).

L’Avvento – preparazione alla grande solennità dell’Incarnazione – deve essere collegato con tale purificazione. Si rianimi la prassi del sacramento della Penitenza. Se quella gioia della vicinanza del Signore, annunciata dalla domenica odierna, deve essere vera, dobbiamo purificare i nostri cuori. La liturgia d’oggi ci indica la duplice fonte della gioia: la prima è quella che deriva dall’onesta realizzazione dei nostri compiti della vita; la seconda è quella che ci viene data dalla purificazione sacramentale e dall’assoluzione dei peccati, che gravano sulla nostra anima.

5. “Il Signore è vicino!”, annuncia San Paolo nella lettera ai Filippesi. Con questo fatto si collega l’invito alla speranza. Poiché, in quanto la nostra vita può opprimere ognuno di noi con un molteplice peso, “Dio è la mia salvezza” (Is 12,2). Se il Signore si avvicina a noi lo fa affinché possiamo attingere “acqua con gioia alle sorgenti della salvezza” (Is 12,3), affinché possiamo conoscere le “sue opere”, quelle che ha compiuto e compie continuamente per il bene dell’uomo.

La prima di tutte queste opere è il creato, il bene naturale, materiale e spirituale che ne scaturisce. Ecco, ci avviciniamo alla nuova splendida opera del Dio Vivente, il nuovo “mirabile Dei”: ecco, vivremo di nuovo nella liturgia della Chiesa il mistero dell’Incarnazione di Dio. Dio-Figlio è diventato uomo; il Verbo si è fatto carne per innestare nel cuore dell’uomo la forza e la dignità soprannaturali: “ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12).

Ed ecco, come guardando verso il Giordano, che nella liturgia di ogni anno è il ricordo di questo grande Mistero, l’Apostolo grida: “Non angustiatevi per nulla!, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti” (Fil 4,6).

Non angustiatevi per nulla! Perfino così. Non dobbiamo realizzare i nostri doveri e i nostri compiti con tutta scrupolosità, come abbiamo sentito dalla bocca di Giovanni Battista? Certamente. Richiede da noi tutto ciò la vicinanza di Dio. Contemporaneamente però la stessa vicinanza di Dio, la sua Incarnazione, la sua salvifica volontà nei confronti dell’uomo, richiedono da noi che non ci lasciamo assorbire completamente dalle sollecitudini temporali; che non viviamo in modo tale come se fosse importante solo “questo mondo”, che non perdiamo la prospettiva dell’eternità. La venuta di Cristo, l’Incarnazione del Figlio di Dio, richiede da noi che apriamo nuovamente nei nostri cuori questa prospettiva divina. E questo proprio vuol dire l’Avvento! Questo vuol dire l’odierno “Rallegratevi”. La divina prospettiva della vita, che sorpassa le frontiere della temporaneità, è la fonte della nostra gioia.

6. Questa prospettiva è anche la fonte della pace spirituale. Per l’uomo contemporaneo, che ha diversi motivi per l’inquietudine e per la paura, devono avere un particolare significato le ultime parole della seconda lettura d’oggi: “La pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” (Fil 4,7). Ecco l’augurio della Chiesa ad ognuno di noi nella vicinanza del Natale.

A nome della Chiesa, auguro questa “pace di Dio” ai padri e alle madri della parrocchia, perché, nella piena fedeltà alla loro missione coniugale, sappiano aiutare, con la loro vita e col loro esempio, i loro figli a maturare e crescere nella fede cristiana.

Auguro questa pace ai giovani e alle giovani della parrocchia, perché siano sempre convinti che la violenza non dà gioia, ma semina odio, sangue, morte, disordine, e che la società, da loro segnata ed intravista, sarà frutto dei loro sacrifici, del loro impegno, del loro lavoro, nel rispetto solidale verso gli altri.

Auguro questa pace agli anziani e agli ammalati della parrocchia, perché siano consapevoli che le loro preghiere e le loro sofferenze sono beni preziosi per la crescita della Chiesa.

Così sia!"