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Easter - Pasqua - Pâques - Pascua 1980

As in every year, in 1980 Pope St John Paul II celebrated the Easter Vigil in St Peter's Basilica and gave his Easter Sunday Urbi et Orbi blessing from the Loggia in St Peter's Square. Then Papa San Giovanni Paolo II gave a catechesis in Easter week on the two disciples request to Jesus after the Resurrection, 'Stay with us, for it is toward evening'. On Easter Wednesday he also celebrated Mass for an international pilgrimage of Ministers, & then on Easter Saturday with a group of deacons in Castelgandolfo; on 2nd Sunday of Easter in Turin; on 3rd Sunday Easter with the parish of Sta Maria, Regina Pacis in Rome; on Good Shepherd Sunday in the parish of Sta Maria in Trastevere, Rome; on 5th Sunday of Easter in Kinshasa, Zaire, with the ordination of 8 bishops; on 6th Sunday of Easter in Yamoussoukro, in the Ivory Coast; & on 7th Sunday of Easter (when the Ascension was celebrated in Rome) with young people from the Focolari movement.

Omelia di Papa San Giovanni Paolo II alla Veglia Pasquale
Basilica Vaticana, Sabato Santo, 5 aprile 1980 - also in German, Portuguese & Spanish

"1. Cristo, Figlio del Dio vivente!

Siamo qui noi, la tua Chiesa: il corpo dal tuo corpo e dal tuo sangue; siamo qui, vegliamo.

Già fu una santa notte la notte di Betlemme, quando siamo stati chiamati dalla voce dell’alto, ed introdotti dai pastori nella grotta della tua natività. Abbiamo vegliato allora a mezzanotte, riuniti in questa Basilica, accogliendo con gioia la buona novella che sei venuto al mondo dal grembo della Vergine-Madre; che sei diventato uomo simile a noi, tu, che sei “Dio da Dio, luce da luce”, non creato come ognuno di noi, ma “della stessa sostanza del Padre”, generato da lui prima di tutti i secoli.

Oggi siamo di nuovo qui, noi, la tua Chiesa; siamo presso il tuo sepolcro; vegliamo.

Vegliamo, per precedere quelle donne, che “di buon mattino” si recheranno alla tomba, portando con sé “gli aromi che hanno preparato” (cf. Lc 24,1), per ungere il tuo corpo deposto nella tomba l’altro ieri.

Vegliamo per essere presso la tua tomba, prima che venga qui Pietro, condotto dalle parole delle tre donne, prima che venga Pietro, il quale, chinandosi, vedrà solo le bende (Lc 24,12); e tornerà dagli apostoli “pieno di stupore per l’accaduto” (Lc 24,12).

Ed era accaduto ciò che avevano sentito le donne: Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo, quando erano giunte alla tomba ed avevano trovato la pietra rotolata via dal sepolcro, “ma, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù” (Lc 24,3). In quel momento per la prima volta, in quella tomba vuota, nella quale l’altro ieri è stato deposto il tuo corpo, è risuonata la parola: “È risuscitato!” (Lc 24,6).

“Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno” (Lc 24,5-7).

Per questo siamo qui adesso. Per questo vegliamo. Vogliamo precedere le donne e gli apostoli. Vogliamo essere qui, quando la sacra liturgia di questa notte renderà presente la tua vittoria sulla morte. Vogliamo essere con te, noi, la tua Chiesa, il corpo dal tuo corpo e dal tuo sangue sparso sulla croce.

2. Siamo il tuo corpo, siamo il tuo popolo. Siamo molti. Ci riuniamo in molti luoghi della terra in questa notte della santa veglia, presso la tua tomba, così come ci siamo riuniti nella notte della tua natività a Betlemme. Siamo molti, e tutti ci unisce la fede, nata dalla tua Pasqua, dal tuo passaggio attraverso la morte alla vita nuova, la fede nata dalla tua risurrezione.

“Questa notte è per noi santa”.

Siamo molti, e tutti ci unisce un solo battesimo.

Il battesimo che immerge in Gesù Cristo (cf. Rm 6,3).

Mediante questo battesimo “che ci immerge nella tua morte” siamo stati, insieme a te, Cristo, sepolti “nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4).

Sì. La tua risurrezione, Cristo, è la gloria del Padre.

La tua risurrezione rivela la gloria del Padre, al quale, nel momento della morte, hai affidato, fino alla fine, te stesso, consegnando il tuo spirito con queste parole: “Padre, nelle tue mani” (Lc 23,46). E insieme a te, hai affidato anche noi tutti, morendo sulla croce come Figlio dell’uomo: nostro fratello e redentore. Nella tua morte hai reso al Padre la nostra morte umana, hai reso l’essere di ogni uomo, che è segnato dalla morte.

Ecco, il Padre rende a te, Figlio dell’uomo, questa vita che gli avevi affidato fino alla fine. Risorgi dai morti grazie alla gloria del Padre. Nella risurrezione è glorificato il Padre, e tu sei glorificato nel Padre, al quale hai affidato fino alla fine la tua vita nella morte: sei glorificato con la vita. Con la vita nuova. Con l’identica vita e, nel medesimo tempo, nuova.

Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente, che il Padre ha glorificato con la risurrezione e con la vita, in mezzo alla storia dell’uomo. Nella tua morte hai reso al Padre l’essere di ciascuno di noi, la vita di ogni uomo, che è segnata dalla necessità della morte, affinché, nella tua risurrezione ciascuno potesse riacquistare la consapevolezza e la certezza di entrare, per te ed insieme con te, nella vita nuova.

“Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione” (Rm 6,5).

3. Siamo molti a vegliare, in questa notte, presso il tuo sepolcro. Ci unisce tutti “una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio, Padre di tutti” (cf. Ef 4,5-6).

Ci unisce la speranza della risurrezione, che scaturisce dall’unione di vita, in cui vogliamo rimanere con Gesù Cristo.

Ci rallegriamo di questa notte santa insieme con coloro che qui hanno ricevuto il battesimo. È la stessa gioia che hanno vissuto i discepoli e i confessori di Cristo nella notte della risurrezione nel corso di tante generazioni. La gioia dei catecumeni sui quali è stata versata l’acqua del battesimo, è la grazia dell’unione con Cristo nella sua morte e risurrezione.

È la gioia della vita che, nella notte della risurrezione, condividiamo reciprocamente tra noi come il mistero più profondo dei nostri cuori e la auguriamo a ogni uomo.

“La destra del Signore si è alzata, / la destra del Signore ha fatto meraviglie. / Non morirò, resterò in vita / e annunzierò le opere del Signore” (Sal 117 [118],16-17).

Cristo, Figlio del Dio vivente, accetta da noi questa santa veglia nella notte pasquale e donaci quella gioia della vita nuova, che portiamo in noi, che soltanto tu puoi dare al cuore umano:

Tu, risorto,
Tu, nostra Pasqua!"

Messaggio Urbi et Orbi di Sua Santità Giovanni Paolo II
Domenica di Pasqua, 6 aprile 1980 - also in French, German, Portuguese & Spanish

"1. “. . .e vide che la pietra era stata ribaltata” (Gv 20, 1).

Nella registrazione degli avvenimenti del giorno che susseguì quel sabato, queste parole hanno un significato chiave.

Nel luogo dove era stato deposto Gesù, la sera del venerdì, giunge Maria di Magdala, giungono le altre donne. Gesù era stato deposto in una tomba nuova, scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora sepolto. La tomba era stata collocata ai piedi del Golgota, là dove Gesù spirò crocifisso, dopo che il centurione gli aveva trafitto il costato con la lancia per costatare con certezza la realtà della morte. Gesù fu avvolto in bende dalle mani caritatevoli ed affettuose delle pie donne che, insieme con la Madre e con Giovanni, il discepolo prediletto, avevano assistito al suo estremo sacrificio. Calando, però, rapidamente la sera ed iniziandosi il sabato pasquale, le generose ed amorevoli discepole furono costrette a rinviare l’unzione del corpo santo e martoriato di Cristo alla prossima occasione, appena la legge religiosa di Israele lo avesse permesso.

Si recano, quindi, al sepolcro nel giorno dopo il sabato, di buon mattino, cioè al primo albeggiare, preoccupate di come rimuovere la grossa pietra che era stata messa all’ingresso del sepolcro, il quale, per di più, era stato anche sigillato.

Ed ecco, giunte sul posto, videro che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro.

2. Quella pietra, collocata all’ingresso della tomba, era divenuta primariamente un muto testimone della morte del Figlio dell’uomo.

Con una simile pietra si concludeva il corso della vita di tanti uomini di allora, nel cimitero di Gerusalemme; anzi l’arco della vita di tutti gli uomini nei cimiteri della terra.

Sotto il peso della pietra tombale, dietro la sua massiccia barriera si compie, nel silenzio del sepolcro, l’opera della morte: cioè l’uomo tratto dalla polvere si trasforma lentamente in polvere (cf. Gen 3, 19).

La pietra, posta la sera del Venerdì Santo, sulla tomba di Gesù, è diventata, come tutte le pietre tombali, il testimone muto della morte dell’uomo, del Figlio dell’uomo.

Che cosa testimonia questa pietra il giorno dopo il sabato, nelle prime ore dello spuntare del giorno?

Che cosa dice? Che cosa annunzia la pietra rimossa dal sepolcro?

Nel Vangelo non vi è una pronta risposta umana adeguata. Essa non appare sulle labbra di Maria di Magdala. Quando, spaventata per l’assenza del corpo di Gesù nella tomba, la donna corre ad avvertire Simon Pietro e l’altro discepolo, quello che Gesù amava (cf. Gv 20, 2), il suo linguaggio umano trova soltanto queste parole per esprimere l’accaduto: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto” (Gv 20, 2).

Anche Simon Pietro e l’altro discepolo si recarono in fretta al sepolcro; e Pietro, entratovi, vide le bende per terra, ed il sudario che era stato posto sul capo di Gesù in un luogo a parte (cf. Gv 20, 7).

Allora entrò anche l’altro discepolo, e vide e credette; ambedue “non avevano ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti” (Gv 20, 9).

Videro e compresero che gli uomini non erano riusciti a sopraffare Gesù con la pietra tombale, sigillandola col contrassegno della morte.

3. La Chiesa che oggi, come in ogni anno, con la domenica di risurrezione termina il suo triduo pasquale, canta con gioia le parole dell’antico salmo: “Celebrate il Signore, perché è buono; / perché eterna è la sua misericordia. / Dica Israele che egli è buono: eterna è la sua misericordia...; / la destra del Signore si è alzata, / la destra del Signore ha fatto meraviglie. / Non morirò, resterò in vita / e annunzierò le opere del Signore. / La pietra scartata dai costruttori / è diventata testata d’angolo; / ecco l’opera del Signore; / una meraviglia ai nostri occhi” (Sal 117 [118], 1-2.16-17.22-23).

Gli artefici della morte del Figlio dell’uomo “assicurarono il sepolcro con le guardie e misero alla pietra il sigillo” (Mt 27, 66).

Spesse volte i costruttori del mondo, per il quale Cristo volle morire, hanno cercato di mettere una pietra definitiva sulla sua tomba.

Ma la pietra rimane sempre rimossa dal suo sepolcro; la pietra, testimone della morte, è diventata testimone della risurrezione: “La destra del Signore ha fatto meraviglie” (Sal 117 [118], 16).

4. La Chiesa annunzia sempre e di nuovo la risurrezione di Cristo. La Chiesa con gioia ripete agli uomini le parole degli angeli e delle donne, pronunciate in quel mattino radioso in cui la morte fu sconfitta.

La Chiesa annunzia che è vivo colui che è diventato la nostra Pasqua, colui che è morto sulla croce, rivela la pienezza della vita.

Questo mondo che, purtroppo, oggi in diversi modi, sembra volere la “morte di Dio”, ascolti il messaggio della risurrezione.

Voi tutti che annunziate “la morte di Dio”, che cercate di estromettere Dio dal mondo umano, sostate e pensate che “la morte di Dio” può portare in sé fatalmente anche la “morte dell’uomo”!

Cristo è risorto perché l’uomo trovi l’autentico significato dell’esistenza, perché l’uomo viva con pienezza la propria vita: perché l’uomo, che viene da Dio, viva in Dio.

Cristo è risorto. Egli è la pietra angolare. Già allora si tentò di rigettarlo e di sopraffarlo con la vigilata e sigillata pietra del sepolcro. Ma quella pietra fu ribaltata. Cristo è risorto.

Non respingete Cristo, voi che costruite il mondo umano.

Non respingetelo voi che, in qualsiasi modo ed in qualsiasi settore, costruite il mondo d’oggi e di domani: il mondo della cultura e della civiltà, il mondo dell’economia e della politica, il mondo della scienza e dell’informazione.

Voi che costruite il mondo della pace... o della guerra? Voi che costruite il mondo dell’ordine... o del terrore? Non rifiutate Cristo: egli è la pietra angolare!

Non lo rifiuti nessun uomo, perché ognuno è responsabile del suo destino: costruttore o distruttore della propria esistenza.

Cristo è risorto prima ancora che il suo angelo avesse ribaltato la pietra tombale. Egli poi si rivelò come pietra angolare, sulla quale si costruisce la storia dell’umanità intera e quella di ognuno di noi.

5. Cari fratelli e sorelle! Con sincera letizia accogliamo questo giorno tanto atteso! Con viva gioia condividiamo il messaggio pasquale noi tutti che accogliamo Cristo come pietra angolare.

In virtù di questa pietra angolare che unisce, costruiamo la nostra comune speranza con i fratelli in Cristo d’oriente e di occidente, con i quali non ci unisce ancora la piena comunione e la perfetta unità.

Accettate, cari fratelli, da noi il bacio pasquale della pace e dell’amore. Cristo risorto risvegli in noi un desiderio ancor più grande di questa unità per la quale egli ha pregato nella vigilia della sua passione.

Non cessiamo di supplicare per essa insieme con lui. Poniamo la nostra fiducia nella forza della croce e della risurrezione; tale forza è più potente della debolezza di ogni divisione umana!

Fratelli diletti! Annuntio vobis gaudium magnum, quod est “Alleluia”!

6. La Chiesa si avvicina oggi ad ogni uomo con l’augurio pasquale: l’augurio di costruire il mondo su Cristo; augurio che estende all’intera famiglia umana.

Vogliano accogliere tale augurio coloro che condividono con noi il messaggio della risurrezione e la gioia pasquale; e anche coloro che, purtroppo, non ne sono partecipi. Cristo, “nostra Pasqua”, non cessa di essere pellegrino con noi sul cammino della storia, ed ognuno può incontrarlo perché egli non cessa di essere fratello dell’uomo in ogni epoca ed in ogni momento.

Nel suo nome mi rivolgo oggi a tutti, ed a tutti porgo l’augurio più fervido e santo."

St John Paul II's catechesis - Stay with us, for it is toward evening
General Audience, Wednesday 9 April 1980 - also in French, German, Portuguese & Spanish

"1. "Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo in esso" (Sal 117 [118],24).

Con queste parole la Chiesa esprime la sua gioia pasquale durante tutta l’ottava della Pasqua. In tutti i giorni, nel corso di questa ottava, perdura quell’unico giorno fatto dal Signore; giorno che è opera della potenza di Dio, manifestata nella risurrezione di Cristo. La risurrezione è l’inizio della nuova vita e della nuova epoca; è l’inizio del nuovo uomo e del nuovo mondo.

Una volta, Dio-creatore creò il mondo dal nulla, inserì in esso la vita e diede inizio al tempo. Creò anche l’uomo a sua immagine e somiglianza; maschio e femmina li creò, affinché soggiogassero il mondo visibile (cf. Gen 1,27).

Questo mondo, per opera dell’uomo, ha subìto la corruzione del peccato; è stato sottomesso alla morte; e il tempo è diventato il metro della vita, che misura ore, giorni, ed anni, dal concepimento dell’uomo fino alla sua morte.

La Risurrezione innesta in questo mondo, sottomesso al peccato e alla morte, il giorno nuovo; il giorno fatto dal Signore. Questo giorno è il lievito della nuova vita, che deve crescere nell’uomo oltrepassando in lui il limite della morte, verso l’eternità in Dio stesso. Questo giorno è l’inizio del futuro definitivo (escatologico) dell’uomo e del mondo, che la Chiesa professa e al quale conduce l’uomo mediante la fede, "la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna".

Il fondamento di questa fede è Cristo, che "patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì, fu sepolto e il terzo giorno risuscitò da morte".

E proprio questo terzo giorno - terzo giorno fra quelli del triduo sacro - è diventato quel "giorno fatto dal Signore": il giorno di cui la Chiesa canta nel corso di tutta l’ottava e che, giorno dopo giorno, in questa ottava essa descrive e medita con gratitudine.

2. Nell’odierno mercoledì pasquale, desidero rivolgermi a voi, cari partecipanti a questo incontro, che, visitando in questo periodo come pellegrini la Chiesa di Roma, avete meditato - alle soglie apostoliche, presso le tombe dei santi Pietro e Paolo e di tanti martiri - la passione, la morte e la risurrezione di Cristo.

Come Vescovo di Roma vi ringrazio cordialmente per la vostra presenza, per la vostra partecipazione alla preghiera, alla liturgia della Domenica delle Palme, del Giovedì Santo, del Venerdì Santo, della vigilia pasquale, della Domenica di Risurrezione e dell’ottava.

Quanto preziosa è questa meditazione! Siamo progenie ed eredi di coloro che, per primi, hanno partecipato agli avvenimenti della Pasqua di Cristo. Come, per esempio, quei due discepoli, i quali - come leggiamo oggi nel Vangelo della santa messa - si sono incontrati, sulla strada di Emmaus, con Cristo e non lo hanno riconosciuto, mentre conversavano "di tutto quello che era accaduto" (Lc 24,14).

Noi abbiamo fatto la stessa esperienza. Nel corso di questo giorno abbiamo meditato tutto ciò che riguarda Gesù nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. E come, "con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne..., recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dire di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro ed hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l’hanno visto (Lc 24,19-24).

Noi abbiamo seguito allo stesso modo, nel corso di questi giorni, ogni particolare di quegli avvenimenti, che ci hanno trasmesso i testimoni oculari in tutta la sorprendente semplicità ed autenticità della narrazione evangelica.

Ed ora, quando dovremo tornare da qui alle nostre case, come quei pellegrini che tornavano da Gerusalemme ad Emmaus, desideriamo ancora una volta rimeditare su tutti i particolari, su tutti i testi della sacra liturgia, esaminando se i nostri cuori siano diventati più pronti a "credere alla parola dei profeti!". "Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?" (Lc 24,25-26).

La risurrezione è l’entrare di Cristo nella gloria. Essa anche a ciascuno di noi dice che siamo chiamati alla sua gloria (cf. 1Ts 2,12).

3. Come gioisce la Chiesa di Roma, antica sede di san Pietro, della vostra presenza così numerosa nel corso di questi giorni!

La Settimana Santa e l’ottava della Pasqua uniscono qui, accanto a coloro che sempre appartengono a questa chiesa, i pellegrini di tante nazioni, paesi, lingue e continenti. La Chiesa di Roma gioisce della presenza di tutti, poiché vede in essi l’universalità e l’unità del corpo di Cristo, in cui tutti siamo reciprocamente membri e fratelli senza distinzione di nazionalità e di razza, di lingua o di cultura. La sede di san Pietro pulsa quasi con la pienezza della vita di tutto il corpo e di tutta la comunità del Popolo di Dio, cui costantemente offre il suo servizio.

Pertanto, poiché oggi mi è dato, cari fratelli e sorelle, di parlare ancora una volta a voi, permettete che io esprima soprattutto un fervido augurio a voi tutti ed a ciascuno singolarmente.

In questo augurio si racchiude anche un desiderio ardente e cordiale, che attinge il suo contenuto nell’avvenimento della liturgia d’oggi. Vi auguro che, mediante il vostro soggiorno a Roma, si ripeta perfettamente in ciascuno di voi ciò che è successo lungo il cammino per Emmaus. Ognuno inviti Cristo come quei discepoli, che camminavano insieme a lui per quella via, non sapendo con chi camminavamo: "Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino" (Lc 24,29).

Gesù resti, prenda il pane, pronunci le parole della benedizione, lo spezzi e lo distribuisca. E si aprano allora gli occhi di ciascuno, quando lo riconoscerà "nello spezzare il pane" (Lc 24,35)

Di cuore auspico che torniate da qui alle vostre case con una nuova conoscenza di Gesù Cristo, Redentore dell’uomo. Vi auguro che portiate in voi questo "giorno fatto dal Signore"; che annunciate, ovunque giungerete, che "davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone" (Lc 24,34). Siate davvero nel mondo di oggi dei testimoni della risurrezione di Cristo con la vostra solida fede e col vostro generoso impegno nel vivere autenticamente il cristianesimo.

A tutti portate il mio saluto e il mio augurio: alle vostre famiglie, alle vostre parrocchie, alle vostre patrie, ai vostri Vescovi e sacerdoti. Il mistero pasquale agisca nei cuori e nella mente vostra. E sia benedetto Dio per questo giorno, che ha fatto per noi!

Vi accompagni e vi sostenga la mia benedizione."


Greetings:

"Ik ben blij de groepen uit Nederland en Vlaanderen in hun eigen taal te begroeten. Uw bezoek aan Rome en aan de Paus brengt u in kontakt met de vitaliteit van de Wereldkerk. Moge deze ervaring u helpen om altijd de Verrezen Kristus te volgen, om zijn volle waarheid te leren kennen, om getuigen te zijn van zijn liefde voor ieder mens. Stelt uw leven onder de wet van het Evangelie, die de wet van de liefde is. Dan zal uw leven zinvol zijn voor uzelf; het zal uw medemens verrijken; het zal uw Vader in de hemel tot lof zijn. Aan u allen en aan uw dierbaren verleen ik van harte mijn Apostolische Zegen.

AUJOURD’HUI que les groupes francophones sont nombreux à cette audience, je ne pois tous les saluer comme je le voudrais. J’ai noté pourtant la présence de nombreux jeunes lycéens et collégiens, en particulier de Strasbourg; d’étudiants venus de Madagascar; de sportifs et de leurs éducateurs de la Fédération internationale catholique d’éducation physique et sportive; de militaires belges. A tous ces jeunes, je dis: soyez heureux d’être membres de l’Eglise, dont vous mesurez mieux ici le caractère universel. Le Christ est venu pour que vous ayez la vie, la vie en abondance, non seulement une vie humaine épanouie avec tous les dons de Dieu et l’amitié des autres, mais sa vie à Lui, sa vie divine. Ne construisez pas votre vie sans le Christ; accueillez-Le sans crainte; et avec Lui tournez-vous vers tous ceux qui ont besoin de votre joie, de votre aide, pour les servir. Je salue aussi les personnes du troisième âge des diocèses de Cambrai et de Lille: que la fidélité du Christ soit votre force et votre paix! Et encore les participants au Congrès de la Société internationale francophone d’Uro-Dynamique: vous cherchez à faire progresser la science médicale et son application sur le point précis de l’urologie qui est votre spécialité: que Dieu bénisse vos travaux et votre service de l’homme!

J’AI LE PLAISIR de saluer un groupe chrétien bien particulier: celui de policiers français, groupés sous le nom de "Police et humanisme". Non seulement ils ont organisé ce pèlerinage, mais ils se réunissent régulièrement pour s’épauler les uns les autres dans leur vie humaine et chrétienne, et prier ensemble. Soyez, chers Amis, félicités de votre initiative. Je souhaite d’abord que vous ayez le réconfort de voir votre service reconnu comme utile et nécessaire, d’être accueillis avec bienveillance - pourquoi ne pas dire aimés -, d’abord dans la société qui a bien besoin de vous pour assurer le bien commun de la sécurité, dans une juste liberté, et aussi dans l’Eglise: la foi chrétienne peut et don’ se vivre dans votre profession, tout comme dans celle du centurion de l’Evangile ou des soldats qui venaient trouver JeanBaptiste. Je souhaite également que vous vous apportiez mutuellement, avec vos prêtres et votre diacre permanent, l’entraide amicale et le ressourcement chrétien qui vous permettent de dépasser l’isolement, les découragements, les tentations de durcissement ou autres qui vous guettent, car il est difficile d’assurer comme il convient l’ordre public et de vivre souvent au milieu des conflits sociaux, aux Frontières de la violence, de la délinquance, des misères ou maladies de notre société auxquelles vous êtes plus que quiconque affrontés. Penser votre rôle comme un service, l’accomplir le plus justement possible, assurer coûte que coûte le respect de la dignité des autres et donc de vous-mêmes, chercher à vivre les exigences de l’Evangile dans vos fonctions de gardiens de la paix ou de membres de la police judiciaire, témoigner franchement de votre foi dans votre milieu, voilà une œuvre d’évangélisation qui tient à cœur a l’Eglise et qu’elle souhaiterait voir étendue. Je prie le Seigneur de vous aider et je bénis volontiers vos personnes et vos familles.

I have a cordial greeting to give to the participants in the meeting that the Focolari Movement has organized for Christians from various parts of Great Britain and Ireland. I hope that your stay in Rome will indeed make all your hearts centres of radiation of the love of Christ. May the warmth of his love bring us closer and closer together in him, with him and for him. May God, through Christ, bless you all.

Sono ora lieto di porgere un affettuoso saluto al folto gruppo di Seminaristi riuniti in questi giorni presso il centro del Movimento "Focolari" di Rocca di Papa. Voglio assicurarvi, carissimi figli, la mia spirituale vicinanza nella vostra ansia di intensa preparazione al sacerdozio, impegnandovi cioè per l’edificazione del Popolo di Dio. Sia, pertanto, Cristo Eterno Sacerdote e luce delle vostre menti, l’obiettivo principale del vostro studio, la guida delle vostre azioni, l’orientamento dei vostri programmi di sacro ministero. Vi accompagni nei vostri generosi propositi la mia Benedizione Apostolica, che imparto a voi ed alle vostre famiglie.

Meritano oggi un particolare saluto i numerosi gruppi di giovani e bambini qui presenti. A voi, cari figliuoli, che siete nel fior degli anni, auguro cordialmente di compiere l’intero cammino della vita con la stessa fortuna dei due viandanti di Emmaus. E vi esorto ad essere dei testimoni della gioia pasquale e della risurrezione di Cristo sulle strade del mondo, nelle vostre famiglie, nelle vostre città, nei vostri ambienti di studio e di gioco. Vi benedico tutti di gran cuore.

Anche agli ammalati che partecipano a questa Udienza vorrei offrire il conforto di una parola preziosa, quella dell’apostolo Paolo. Questi, dopo una lunga esperienza di tribolazioni di ogni genere, scrivendo alla comunità cristiana di Roma, confida questo suo convincimento: "Io penso che le sofferenze del tempo presente non sono assolutamente paragonabili alla gloria che Dio un giorno manifesterà a noi". Coraggio, figli diletti: per voi ho un ricordo nella preghiera, perché Cristo, morto e risorto, sia per voi sorgente di serenità e di speranza, di luce e di fortezza, di merito e di santificazione. In pegno di ciò, vi do la mia speciale Benedizione.

Un saluto infine a voi, sposi novelli. Vi ringrazio per la vostra presenza, mi rallegro per la vostra venuta; questa vostra visita dà al Papa l’occasione di invocare su di voi e sulla vostra nascente famiglia l’abbondanza dei doni divini, per un avvenire sereno, coraggioso, impregnato di autentico spirito cristiano e di sincera evangelica bontà.

A tutti la mia cordialissima Benedizione.

Desidero ora annunciarvi che, a Dio piacendo, dal pomeriggio di venerdì 30 maggio alla sera di lunedì 2 giugno mi recherò in Francia per una breve visita pastorale, soffermandomi soprattutto a Parigi. Corrisponderò così all’invito rivoltomi dal presidente della Conferenza episcopale di quella nazione e dal Cardinale Arcivescovo di Parigi, come pure all’analogo invito espressomi dal signor presidente della repubblica francese ed a quello del direttore generale dell’Unesco, presso la cui sede andrò lunedì 2 giugno per rivolgere la mia parola. Sarà un viaggio rapido, durante il quale avrò nel cuore e nell’ansia del mio animo le aspirazioni di tutti gli abitanti della cara e nobile nazione francese, come pure le alte finalità perseguite dall’Unesco nel campo dell’educazione, della scienza e della cultura. Anche voi, carissimi fedeli presenti a quest’udienza, assistetemi con la vostra preghiera affinché questo viaggio che, come tutti gli altri, vuole essere esclusivamente apostolico, cioè religioso e pastorale, sia ricco degli auspicati frutti."

Pope St John Paul II's homily for the international pilgrimage of Ministers
Paul VI Hall, Easter Wednesday, 9 April 1980 - also in German, Italian, Portuguese & Spanish

"Chers Amis,
Je suis heureux de célébrer l’Eucharistie, entouré de vous tous, enfants, jeunes, adultes. Habituellement, dans les divers pays d’Europe qui sont les vôtres, vous accomplissez cet office autour de vos prêtres, ou de vos Evêques qui sont les successeurs des Apôtres. Et ce soir: autour de l’Evêque de Rome, qui est le successeur de Pierre, le Pasteur donné par le Christ à l’ensemble de ses disciples.

1. Vous êtes venus ici participer aux joies pascales de l’Eglise, qui fête la Résurrection du Seigneur avec des chrétiens de tous les pays. Mais vous-mêmes, vous portez en vous ceste joie de Pâques.

Non seulement vous croyez en Jésus vivant, vous avez reçu en vous sa grâce, mais vous êtes tout spécialement disponibles pour servir le Christ dans l’accomplissement de votre service liturgique, vous revivez presque continuellement ceste proximité à laquelle le Seigneur Jésus, surtout en ceste période pascale, invite et admet ses disciples, en les rencontrant et en leur révélant sa Résurrection.

Vous le savez, il s’agit d’abord des femmes, venues à son tombeau le matin de Pâques et que Jésus salue et rassure, en leur demandant de porter la Nouvelle aux Apôtres. C’est Marie-Madeleine qui cherche son corps et qui voudrait retenir Jésus quand il l’appelle par son nom. Ce sont les disciples d’Emmaüs qui cheminent avec lui, lui demandent de rester avec eux et le reconnaissent à la fraction du pain. Ce sont les Apôtres, et en particulier Thomas, auxquels Jésus ressuscité montre ses mains et ses pieds et confie l’Evangile pour le monde entier. C’est Pierre et c’est Jacques. [Ce sont encore les Apôtres qui l’aperçoivent au cours de leur pêche laborieuse et que Jésus accueille à son repas au bord du lac. Ce sont cinq cents disciples auxquels il apparaît, comme le dit saint Paul, le converti.] Jésus les a fait entrer les uns et les autres dans la foi plénière, au point qu’ils ont pu dire comme Thomas: “Mon Seigneur et mon Dieu”. Il les a préparés à vivre continuellement en sa présence invisible, dans la paix et dans la joie. Il leur a donné son Esprit. Il en a fait ses témoins aux yeux des autres. Bref, il les a introduits dans sa vie intime et glorieuse.

Aujourd’hui, le même Seigneur Jésus, élevé au ciel, est présent et agit dans les sacrements de l’Eglise, surtout dans l’Eucharistie. Et vous, associés au service liturgique de l’autel, vous avez l’honneur et le bonheur d’approcher intimement de ce Christ.

2. Certes, la liturgie ne remplit pas toute l’activité de l’Eglise. Il y a une très large part d’annonce, de catéchèse, de prédication, pour éveiller la foi, la nourrir, l’éduquer. Et vous-mêmes, vous en bénéficiez. Il y a la prière personnelle où chacun doit parler au Seigneur dans le secret, ou avec ses amis. Il y a toutes les œuvres d’apostolat et de charité: l’amour est le signe auquel on reconnaît les disciples du Christ. Mais la liturgie est le sommet auquel tend toute l’action de l’Eglise, et la source d’où découle toute sa force.

C’est là que se noue l’Alliance avec Dieu, que le peuple est sanctifié, rend gloire à Dieu, resserre ses liens avec l’Eglise et fortifie sa charité. Pendant et depuis le grana concile Vatican II, l’Eglise a voulu restaurer la liturgie, pour qu’elle exprime avec plus de clarté ces réalités saintes et que le peuple chrétien puisse y participer par une célébration pleine, active et communautaire. Il faut que ceste célébration, même dans sa simplicité, soit toujours belle et digne, et qu’elle conduise les participants à entrer dans l’action sainte de Jésus qui nous fait entendre sa parole, s’offre en sacrifice et nous unit à son Corps.

Moi-même, à l’occasion du Jeudi Saint, je viens d’écrire, sur le sens de l’Eucharistie et la manière de la célébrer, une lettre à tous les Evêques et, par eux, à tous les prêtres.

Was nun euch betrifft, meine lieben jungen Freunde, so vollzieht ihr an der Seite des Priesters, der allein im Namen Christi handelt, einen Dienst, welcher dazu bestimmt ist, die Größe des eucharistischen Geheimnisses noch deutlicher werden zu lassen. Hört, was die Bischöfe darüber im letzten Konzil gesagt haben:”Bei den liturgischen Feiern soll jeder, sei er Liturge oder Gläubiger, in der Ausübung seiner Aufgabe nur das und all das tun, was ihm aus der Natur der Sache gemäß den liturgischen Regeln zukommt. Auch die Ministranten - hier werdet ihr also genannt -, Lektoren, Kommentatoren und Mitglieder der Kirchenchöre vollziehen einen wahrhaft liturgischen Dienst.

Deswegen sollen sie ihre Aufgabe in aufrichtiger Frömmigkeit und in einer Ordnung erfüllen, wie sie einem solchen Dienst ziemt und wie sie das Volk Gottes mit Recht von ihnen verlangt“. In meinem kürzlichen Schreiben über das Geheimnis und die Verehrung der heiligsten Eucharistie habe ich noch hinzugefügt: ”Die Möglichkeiten, welche die nachkonziliare Erneuerung geschaffen hat, werden vielerorts so genutzt, daß wir Zeugen und Teilnehmer einer echten Feier des Wortes Gottes werden. Es nimmt ferner die Zahl jener Menschen zu, die sich aktiv an dieser Feier beteiligen“.

Dieses gilt vor Allem auch für die ”Meßdiener“, die ”Ministranten“ - ”servants“, ”chierichetti“, ”enfants de choeur“, ”grands clerc“, wie diese in anderen Ländern genannt werden. Sie begleiten den Priester zum Altar, beten an seiner Seite, reichen ihm dar, was er zum heiligen Opfer nötig hat.

Oder kurz gesagt, sie verrichten gleichsam die Funktionen von Akoluthen, ohne deren Amtsweihe eigens dazu empfangen zu haben.

Daneben gibt es noch andere Dienste, die für die würdige Feier der Eucharistie ebenfalls notwendig sind. Ich denke an den Dienst der ”Lektoren“, der vor allem die größeren unter euch betrifft; an den Dienst der ”Sänger“, besonders im Rahmen der ”schola cantorum“, der Kirchenchöre für Kinder, Jugendliche und Erwachsene. Diese Dienste sind die Aufgabe der ganzen Gemeinde und somit der Laien, Männer und Frauen. Wenn sie würdig vollzogen werden, wird die gesamte Feier ausdrucksvoller und geschieht sie mit größerer innerer Anteilnahme. Man könnte ferner auch noch auf jene hinweisen, die sich an der Gabenprozession beteiligen: die Gaben sind gewissermaßen ein Symbol für alles, was die Gemeinde bei der Eucharistiefeier Gott zum Opfer bringt und im Geiste darbietet; darunter befinden sich Brot und Wein, die der Leib und das Blut des Herrn werden.

Meine lieben, jungen Freunde, alle diese Dienste müssen jedoch gut vorbereitet werden. Ihr müßt euch bemühen, die Liturgie zu verstehen, mehr noch, ihr müßt euch auf vielfältige Weise zu Christus und zur Kirche bekennen. Dies zu tun und zu lernen ist die erzieherische Aufgabe eurer Gruppen, in denen ihr euch dem Gebet und dem Apostolat widmet. Diejenigen, die beauftragt sind, die Texte der Heiligen Schrift vorzulesen oder vorzusingen, müssen den Sinn des Wortes Gottes gut verstehen, darüber selbst betrachten und es lernen, dieses würdig und deutlich zu werkünden, damit es gut vernommen und verstanden wird und den Anwesenden zum geistlichen Nutzen dient.

In diesem Zusammenhang möchte ich nachdrücklich darum bitter, daß die Priester und Erzieher auf diese Vorbereitung alle notwendige Sorge und Zeit verwenden.

Es ist mein großer Wunsch, daß die Liturgie überall in ihrer ganzen Würde wiederhergestellt und als warhaft heilige Handlung vollzogen wird, weil sie uns in Gemeinschaft setzt mit Christus, dem dreimal Heiligen! Ich möchte, daß die Gläubigen aktiv daran teilnehmen, voller Glauben und Ehrfurcht, mit Sammlung und Andacht und auch mit gebührendem Eifer. Ihr habt die Gelegenheit, dazu in einen großen Maße beizutragen. Und ich weiß auch, daß in euren Ländern viele sich darum bemühen. Dennoch aber scheint dieser Dienst an manchen Orten leider auch vernachlässigt zu werden. Unter dem Vorwand der Einfachheit verfällt man in monotone Feiern, oder der sakrale und festliche Charakter droht verloren zu gehen. Ich meinerseits habe in Polen, vor allem in meiner Diözese Krakau, unvergeßliche Erfahrungen gemacht, wobei die Jugendlichen einen maßgeblichen Teil zur Schönheit und Lebendigkeit der Eucharistiefeier beigetragen haben.

3. Ritorniamo adesso al Vangelo di questo giorno. È in qualche modo la trama di ciascuna delle nostre messe. Come i discepoli di Emmaus, noi ascoltiamo il Signore che ci parla del senso della sua morte, della sua risurrezione, di ciò che egli aspetta da noi. E il celebrante, come Gesù, ve lo spiega. Ma ciò non basta. Il Signore, nella persona del suo ministro, benedice e spezza il pane. E sotto l’apparenza del pane, i vostri occhi, educati dalla fede, sono sicuri di riconoscerlo. Questo riconoscimento, questa vicinanza di Gesù, e più ancora il fatto che voi stessi ricevete, dopo una degna preparazione, questo pane di vita che è il suo corpo, vi riempiono di una gioia indicibile, perché voi amate il Signore. Auspico che questa esperienza, che voi rinnovate frequentemente accanto al celebrante, lasci delle tracce durature nella vostra vita. Certamente, voi non siete dispensati dagli sforzi, perché c’è il rischio che voi vi “abituiate” a questi gesti che vedete così da vicino e così spesso, e che non riconosciate sufficientemente l’amore del vostro Salvatore che si avvicina e vi fa cenno. Occorre che il vostro cuore vigili, occorre che la preghiera mantenga in voi il desiderio del suo incontro, ed occorre anche che dopo la messa voi condividiate con altri l’amore ricevuto.

Il vostro servizio, cari amici, vi associa dunque al sacro ministero del sacerdote che celebra l’Eucaristia e gli altri sacramenti, nel nome stesso di Cristo. Ma avrete sempre, fra di voi, i sacerdoti che desiderate e di cui il Popolo di Dio non può fare a meno? Voi sapete quanto i vostri paesi hanno un grandissimo bisogno di vocazioni sacerdotali. Rivolgendomi ai ragazzi ed ai giovani che sono presenti io dico loro: “E tu, hai mai pensato che il Signore Gesù ti invitava forse ad una intimità più grande con lui; ad un servizio più elevato, ad una donazione radicale, precisamente come suo sacerdote, suo ministro? Quale grazia sarebbe per te, per la tua famiglia, per la tua parrocchia, per le comunità cristiane che attendono dei sacerdoti! Certo, questa grazia non è obbligante... “Se tu vuoi”, diceva Gesù. Ma tanti giovani - anche oggi - hanno ancora il gusto del rischio! Sono sicuro che molti di loro sono capaci di lasciare tutto per seguire Gesù e continuare la sua missione. In ogni caso, voi dovete porvi lealmente la domanda. Il modo con cui voi compite adesso il vostro servizio vi prepara a rispondere alla chiamata del Signore.

As I end my talk to you, I express my hope that the whole community will help you to appreciate your liturgical functions, and to carry them out as perfectly as possible, so that all taking part in the celebration will have their faith and charity renewed in Christ.

I want you to know that the Pope loves you and counts on you very much. I bless you with all my heart, and I leave you with these words: "Serve the Lord with gladness!"."

Pope St John Paul II's homily at Mass with a group of new Deacons
Castelgandolfo, Easter Friday, 11 April 1980 - also in Italian, Portuguese & Spanish

"Dear sons and brothers in Christ,
1. In the presence of the community of the faithful, represented by a group of your own parents, relatives and friends, you have come here to ratify the oblation of your lives as deacons of God’s Church. In doing so you are filled with confidence because you know that your vocation and your ministry find their effective support in the power of Christ’s Resurrection, which the Church is celebrating with joyful gratitude and love throughout this holy season.

The Church has indeed placed a great treasure in your hands, for she has called you to be associated in a special way with the Lord Jesus in his worship of the Father and in his service to humanity. You are called to a greater conformity with Christ the Servant, and from now on your discipleship will be expressed in a ministry of the word, of the altar and of charity.

2. Your whole lives have to be rooted in the word of God, which you are called to accept and to communicate in all its fullness, just as it is proclaimed by the one, holy, Catholic and apostolic Church. In the Eucharistic Sacrifice - in which you participate and which will be for ever the centre of your lives - Christ himself will offer your whole ministry of charity to his Father. From now on, you will have a particular relationship with the poor, the suffering and the sick - with all those in need. And remember always that the greatest service you will render to God’s people is to bring to them his life-giving and uplifting Gospel of salvation.

3. To equip you for this task of service, the Church has solemnly invoked upon you the Holy Spirit and his seven gifts. He it is, the Holy Spirit, who is able to configure you ever more deeply to the Jesus whom you represent, and who wishes to prolong through you his salvific contact with humanity. The people must be able to see Christ in you; the Master must be recognized in the disciple. It is in the name of Jesus that you are sent out, and everything that you are able to accomplish will be done "by the name of Jesus Christ the Nazarene".

4. In order to be conscious of your task of ministering in his holy name, and in order to remain effectively united with him, you must pray. You must frequently lift up your hearts to the Lord who has called you by name and entrusted you with a great responsibility. In this regard, the Liturgy of the Hours will be the enrichment of your lives and the guarantee of the effectiveness of your ministry of service. Prayer must sustain your service and your service in turn must, time and again, lead you back to prayer. Be assured that Mary, the Mother of the Risen Lord, will support you in your efforts and remain close to you with her love.

5. And finally, dear sons and brothers, so that your joy may be complete, remember the words of Jesus, the assurance he has given us, the wonderful promise he has made to us: “...if any one serves me, the Father will honour him". Yes, as deacons, you are called to serve Christ in his members and to be honoured by his Eternal Father, to whom be all praise and thanksgiving in the unity of the Holy Spirit, for ever and ever. Amen."

Omelia di Papa San Giovanni Paolo II alla Santa Messa a Torino
Duomo di Torino, La 2a domenica di Pasqua, 13 aprile 1980 - also in French, German, Portuguese & Spanish

"1. “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei” (Gv 20,9). Con queste parole incomincia oggi la lettura del Vangelo secondo Giovanni.

“Erano chiuse le porte... per timore”.

Già il mattino, agli apostoli riuniti nel cenacolo, giunse la notizia che la tomba, in cui era stato deposto Cristo, era vuota. La pietra, sigillata dall’autorità romana su richiesta del sinedrio, era stata ribaltata. Le guardie, che per iniziativa e ordine dello stesso dovevano vigilare presso la tomba, erano assenti.

Le donne, che di “buon mattino” si erano recate al sepolcro di Gesù, poterono senza difficoltà entrare nella tomba. In seguito, poterono fare lo stesso anche Pietro, da esse informato, e Giovanni insieme con lui. Pietro entrò nel sepolcro; vide le bende ed il sudario, posto a parte, con cui era stato avvolto il corpo del maestro. Ambedue costatarono che la tomba era vuota ed abbandonata. Credettero nella veracità delle parole, con le quali erano venute a loro le donne, soprattutto Maria di Magdala; tuttavia... non avevano ancora compreso la Scrittura, secondo cui egli doveva risuscitare dai morti (cf. Gv 20,1ss).

Ritornarono dunque al cenacolo, aspettando l’ulteriore sviluppo degli avvenimenti. Se l’evangelista Giovanni, che ha partecipato attivamente in tutto ciò, scrive che “si trovavano” (nel cenacolo) mentre erano chiuse le porte per timore dei giudei, questo vuol dire che il timore, nel corso di quel giorno, fu in loro più forte degli altri sentimenti. Piuttosto non si aspettavano niente di buono dal fatto che la tomba era rimasta vuota; si aspettavano piuttosto nuove molestie, vessazioni da parte dei rappresentanti delle autorità ebraiche. Questo fu un semplice timore umano, proveniente dalla minaccia immediata. Tuttavia, in fondo a questa immediata paura-timore per se stessi, c’era un timore più profondo, causato dagli avvenimenti degli ultimi giorni. Questo timore, iniziato nella notte del giovedì, aveva toccato il suo culmine nel corso del Venerdì Santo, e, dopo la deposizione di Gesù, perdurava ancora, paralizzando tutte le iniziative.

Era il timore nato dalla morte di Cristo.

Infatti, una volta, interrogati da lui: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?” (Mt 16,13), avevano riportato diverse voci e opinioni su Cristo: e poi interrogati direttamente: “Voi chi dite che io sia?” (Mt 16,15) avevano udito ed accettato in silenzio, come proprie, le parole di Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”(Mt 16,16).

Sulla croce, quindi, è morto il Figlio del Dio vivente.

Il timore, dal quale furono presi i cuori degli apostoli, aveva le sue radici più profonde in questa morte: fu il timore nato, per così dire, dalla morte di Dio.

2. Il timore travaglia anche la generazione contemporanea degli uomini. Essi lo provano in modo accentuato. Forse più profondamente lo risentono coloro, che sono più consapevoli della intera situazione dell’uomo e che nello stesso tempo hanno accettato la morte di Dio nel mondo umano.

Questo timore non si trova sulla superficie della vita umana. Sulla superficie viene compensato mediante i diversi mezzi della civiltà e della tecnica moderna, che permettono all’uomo di liberarsi dalla sua profondità, e di vivere nella dimensione dell’“homo oeconomicus” dell’“homo technicus” dell’“homo politicus” e, in un certo grado, anche nella dimensione dell’“homo ludens”.

Infatti, contemporaneamente permane e cresce con una sufficiente motivazione la coscienza di un progresso accelerato dell’uomo nella sfera del suo dominio sul mondo visibile e sulla natura.

L’uomo, nella sua dimensione planetaria, non fu mai tanto consapevole di tutte le forze, che è capace di utilizzare e di destinare al proprio servizio e mai si è servito di esse in tale misura. Da questo punto di vista ed in questa dimensione, la convinzione circa il progresso dell’umanità è pienamente giustificata.

Nei paesi e negli ambienti di più grande progresso tecnico e di più grande benessere materiale, di pari passo con questa convinzione cammina un atteggiamento che si è soliti chiamare “consumistico”. Esso, tuttavia, testimonia che la convinzione sul progresso dell’uomo è soltanto in parte giustificata. Anzi, esso testimonia che tale orientamento del progresso può uccidere nell’uomo quel che è più profondamente e più essenzialmente umano.

Se fosse qui presente madre Teresa di Calcutta - una di quelle donne che non hanno paura di scendere, seguendo Cristo, a tutte le dimensioni dell’umanità, a tutte le situazioni dell’uomo nel mondo contemporaneo - essa ci direbbe che sulle vie di Calcutta e di altre città del mondo gli uomini muoiono di fame...

L’atteggiamento consumistico non prende in considerazione tutta la verità sull’uomo - né la verità storica, né quella sociale, né quella interiore e metafisica. Piuttosto, è una fuga da questa verità.

Non prende in considerazione tutta la verità sull’uomo. L’uomo è creato per la felicità. Sì! Ma la felicità dell’uomo non si identifica affatto con il godere! L’uomo orientato “consumisticamente” perde, in questo godimento, la dimensione piena della sua umanità, perde la coscienza del senso più profondo della vita. Tale orientamento del progresso uccide, quindi, nell’uomo ciò che è più profondamente e più essenzialmente umano.

3. Ma l’uomo rifugge dalla morte.
L’uomo ha paura della morte.
L’uomo si difende dalla morte.
E la società cerca di difenderlo dalla morte.

Il progresso, che con tanta difficoltà, con lo spreco di tante energie e con tante spese è stato costruito dalle generazioni umane, contiene tuttavia nella sua complessità un potente coefficiente di morte. Nasconde in sé addirittura un gigantesco potenziale di morte. È necessario comprovare ciò nella società, che è consapevole di quali possibilità di distruzione si trovano nei contemporanei arsenali militari e nucleari?

Quindi, l’uomo contemporaneo ha paura. Hanno paura le superpotenze che dispongono di quegli arsenali - ed hanno paura gli altri: i continenti, le nazioni, le città...

Questa paura è giustificata. Non solo esistono possibilità di distruzione e di uccisione prima sconosciute, ma già oggi gli uomini uccidono abbondantemente altri uomini! Uccidono nelle abitazioni, negli uffici, nelle università. Gli uomini armati delle moderne armi uccidono uomini indifesi e innocenti. Incidenti del genere succedevano sempre, ma oggi questo è diventato un sistema. Se gli uomini affermano che bisogna ammazzare altri uomini al fine di cambiare e migliorare l’uomo e la società, allora dobbiamo domandare se, insieme con questo gigantesco progresso materiale, a cui partecipa la nostra epoca, non siamo arrivati contemporaneamente a cancellare proprio l’uomo, un valore tanto fondamentale ed elementare! Non siamo arrivati già alla negazione di quel principio fondamentale ed elementare che l’antico pensatore cristiano ha espresso con la frase: “Bisogna che l’uomo viva”? (S. Ireneo).

Così, dunque, un timore giustificato travaglia la generazione degli uomini contemporanei. Questo orientamento di un progresso gigantesco, che è diventato l’esponente della nostra civiltà, non diventerà l’inizio della morte gigantesca e programmata dell’uomo?

Quei terribili campi della morte, di cui ancora portano le tracce sul proprio corpo alcuni dei nostri contemporanei, non sono, nel nostro secolo, anche un preannunzio e una anticipazione di ciò?

4. Gli apostoli riuniti nel cenacolo di Gerusalemme sono stati presi dalla paura: “Mentre erano chiuse le porte... per timore”. Era morto sulla croce il Figlio di Dio.

Il timore, che travaglia gli uomini moderni, non è forse nato anch’esso, nella sua radice più profonda dalla “morte di Dio”?

Non da quella sulla croce, che è diventata l’inizio della risurrezione e la fonte della glorificazione del Figlio di Dio e contemporaneamente il fondamento della speranza umana e il segno della salvezza, non da quella.

Ma dalla morte, con la quale l’uomo fa morire Dio in se stesso, e particolarmente nel corso delle ultime tappe della sua storia, nel suo pensiero nella sua coscienza, nel suo operare. Questo è come un denominatore comune di molte iniziative del pensiero e della volontà umana. L’uomo toglie a Dio se stesso e il mondo. E chiama ciò “liberazione dall’alienazione religiosa”. L’uomo sottrae a Dio se stesso e il mondo pensando che soltanto in questo modo potrà entrare nel loro pieno possesso, diventando il padrone del mondo e del suo proprio essere. Quindi, l’uomo “fa morire” Dio in se stesso e negli altri. A ciò servono interi sistemi filosofici, programmi sociali, economici e politici. Viviamo, perciò, nell’epoca di un gigantesco progresso materiale, che è anche l’epoca di una negazione di Dio prima sconosciuta.

Tale e l’immagine della nostra civiltà.

Ma perché l’uomo ha paura? Forse addirittura perché, in conseguenza di questa sua negazione, in ultima analisi, rimane solo: metafisicamente solo... interiormente solo.

O forse?... forse proprio perché l’uomo, che fa morire Dio, non troverà neanche un freno decisivo per non ammazzare l’uomo. Questo freno decisivo è in Dio. L’ultima ragione perché l’uomo viva, rispetti e protegga la vita dell’uomo, è in Dio. E l’ultimo fondamento del valore e della dignità dell’uomo, del senso della sua vita, è il fatto che egli è immagine e somiglianza di Dio!

5. La sera di quello stesso giorno, il giorno dopo il sabato, essendo gli apostoli dietro le porte chiuse “per timore dei giudei”, venne a loro Gesù. Entrò, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi” (Gv 20,19).

Allora egli vive! La tomba vuota non significava niente altro, se non che egli era risorto, come aveva predetto. Vive, ed ecco viene a loro, nello stesso luogo che aveva lasciato insieme con loro la sera del giovedì dopo la cena pasquale. Vive, nel suo proprio corpo. Infatti, dopo averli salutati, “mostrò loro le mani e il costato” (Gv 20,20) Perché? Certamente perché vi erano rimasti i segni della crocifissione. È quindi lo stesso Cristo che fu crocifisso e morì sulla croce, e adesso vive. È Cristo risorto. La mattina dello stesso giorno non si è lasciato trattenere da Maddalena; e adesso “mostra loro - agli apostoli - le mani e il costato”.

“E i discepoli gioivano al vedere il Signore” (Gv 20,20). Gioivano! Questa parola è semplice e insieme profonda. Non parla direttamente della profondità e della potenza della gioia, di cui i testimoni del Risorto sono diventati partecipi - ma ci permette di intuire. Se il loro timore aveva le radici più profonde nel fatto della morte del Figlio di Dio, allora la gioia dell’incontro con il Risorto doveva essere sulla misura di quel timore. Doveva essere più grande del timore. Questa gioia era tanto più grande, in quanto, umanamente, era più difficile da accettare. E quanto fosse difficile, lo testimonia il comportamento successivo di Tommaso, il quale “non era con loro quando venne Gesù” (Gv 20,24).

È arduo descrivere questa gioia. Ed è arduo misurarla col metro della psicologia umana. Essa è semplice, di tutta la semplicità del Vangelo, e, contemporaneamente, è profonda di tutta la sua profondità. E la profondità del Vangelo è tale che in esso si contiene completamente l’uomo intero. Si contiene in esso sovrabbondantemente: con tutta la sua volontà, con tutta l’aspirazione del suo spirito e con tutti i desideri del suo “cuore”. Si contiene anche con tutta la profondità di quel suo timore, che nasce dalla “morte di Dio”, e che nasce anche nella prospettiva della “morte dell’uomo”.

Proprio questi tempi, in cui viviamo - tempi in cui si è operata la prospettiva della “morte dell’uomo” nata dalla “morte di Dio” nel pensare umano, nella umana coscienza, nell’agire umano - proprio questi tempi esigono, in modo particolare, la verità sulla risurrezione del Crocifisso.

Esigono pure la testimonianza della risurrezione, che sia eloquente come non mai prima.

Non invano, il Vaticano II ha richiamato l’attenzione di tutta la Chiesa verso il “mysterium paschale”.

6. Viviamo quindi, oggi, questo mistero con tutta la Chiesa che è qui a Torino. Rendiamo testimonianza alla risurrezione di Cristo dinanzi a questa città e alla società. Tutta Torino diventi un cenacolo di quest’incontro con il Risorto, al quale ci conduce oggi la santa liturgia.

Ci sono di ciò ricche ragioni storiche, che risalgono a tempi antichi. Ma, anzitutto, tali ragioni si trovano nella storia recente della nostra città e della vostra Chiesa! Il mistero pasquale ha trovato qui alcuni suoi splendidi testimoni e apostoli, in particolare tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo. Non poteva, del resto, essere diversamente nella città che custodisce una reliquia insolita e misteriosa come la sacra Sindone, singolarissimo testimone - se accettiamo gli argomenti di tanti scienziati - della Pasqua: della passione, della morte e della risurrezione. Testimone muto, ma nello stesso tempo sorprendentemente eloquente!

Di conseguenza, in tutti quegli uomini che hanno lasciato qui, a Torino, una traccia e una semente, così meravigliose della santità: don Bosco, il Cottolengo, il Cafasso, in questi uomini, ripeto, non ha forse operato qui Cristo Crocifisso e Risorto?

Ma qualcuno dirà: questa è storia di ieri. L’oggi è differente, radicalmente differente. L’“oggi” calpesta “ieri”. Non c’è più la Torino dei santi, ma la Torino della grande industria e della grande secolarizzazione, la Torino di una quotidiana lotta di classe e di un’incessante violenza. I santi appartengono al passato, non bastano per i tempi odierni, dirà qualcuno.

Ma Cristo c’è. Ed egli basta per ogni tempo: “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!” (Eb 13,8). Ancora di più. Ascoltiamo l’Apocalisse di Giovanni apostolo. Egli rende una particolare testimonianza a questo Cristo di ieri, di oggi e di domani: “Appena lo vidi caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la destra mi disse: “Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi”” (Ap 1,17-18).

Potere sopra la morte...

Sì. L’unica chiave contro la “morte dell’uomo” la possiede lui: il Figlio del Dio vivente. Lui, il testimone del Dio vivente: “Il Primo e l’Ultimo e il Vivente”.

Questo è stato detto a noi uomini dell’epoca di un gigantesco progresso e dell’epoca di una paura che cresce insieme ai successi umani e alle sue minacce.

Questo è stato detto per noi.

7. E forse sono oggi più numerosi fra di noi i non credenti che i credenti? Forse è morta la fede ed è stata coperta da uno strato di quotidianità laica, o addirittura di negazione e di disprezzo...

Nell’odierno avvenimento evangelico e liturgico vi è anche un apostolo incredulo e ostinato nella sua non-fede: “Se non vedo... non crederò” (Gv 20,25).

Cristo dice: “Guarda... verifica..., e non essere più incredulo...” (Gv 20,27). O forse sotto la non-fede vi è addirittura il peccato, il peccato inveterato che gli uomini evoluti non vogliono chiamare per nome, affinché l’uomo non lo chiami così e non ne cerchi la remissione. Cristo dice: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20,22-23). L’uomo può chiamare il peccato per nome, non è costretto a falsificarlo in se stesso, perché la Chiesa ha ricevuto da Cristo il potere e la potenza sul peccato per il bene delle coscienze umane.

Anche questi sono particolari essenziali dell’odierno messaggio pasquale.

La Chiesa intera annunzia oggi a tutti gli uomini la gioia pasquale nella quale risuona la vittoria sul timore dell’uomo. Sul timore delle coscienze umane nato dal peccato. Sul timore di tutta l’esistenza, nato dalla “morte di Dio” nell’uomo, nella quale si aprono le prospettive di una molteplice “morte dell’uomo”.

È questa la gioia degli apostoli congregati nel cenacolo di Gerusalemme. È la gioia pasquale della Chiesa, che in questo cenacolo ha il suo inizio. Essa ha il suo inizio nella tomba deserta sotto il Golgota e nei cuori di quegli uomini semplici, che “la sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato” vedono il Risorto e sentono dalla sua bocca il saluto: “Pace a voi!”

Che questa gioia più potente di ogni timore dell’uomo venga partecipata da questa Chiesa e da questa città. “Augusta Taurinorum”, verso la quale è stato dato di fare pellegrinaggio a me, indegno successore di Pietro. Amen."

Papa San Juan Pablo II's words at the Regina Caeli
2nd Sunday of Easter, 13th April 1980, Turin - also in Portuguese & Spanish

"1. La preghiera dell’antifona “Regina Coeli”, che nel tempo di Pasqua sostituisce quella dell’Angelus, si eleva quest’oggi, domenica “in albis”, non, come di consueto, sotto il cielo di Roma, ma sotto quello di Torino, di questa città “augusta”, che trova nei santuari mariani della Consolata, di Maria Ausiliatrice, della Gran Madre, i punti ideali della sua devozione verso la Vergine santissima. La pietà mariana infatti ha segnato profondamente attraverso i secoli la vita spirituale del popolo torinese, trovando espressione tipica nei santi più noti di questa città, come in tutte quelle persone che vissero ed operarono alla luce e sotto il materno patrocinio di colei che è chiamata Madre dei santi e quindi Madre della Chiesa, così proclamata dal mio venerato predecessore, Paolo VI, al termine del Concilio Vaticano II. Non può infatti non essere Madre della Chiesa, Maria, che nel mistero della redenzione è diventata madre di tutti gli uomini. Perciò a lei - alla madre di tutti gli uomini, e in particolare alla Madre della Chiesa - vengo oggi insieme con voi, che costituite la santa Chiesa torinese, io il Papa Giovanni Paolo II che sono giunto qui come pellegrino, le dico: “Regina coeli, laetare!”.

2. Oggi, terminando l’ottava di Pasqua che è, in un certo senso, l’unico giorno pasquale della risurrezione (“haec est dies!”) abbiamo ancora viva nella memoria la passione e la croce di Cristo. I nostri cuori non dimenticano che, presso la croce di Gesù, stava lei (cf. Gv 19, 25): stabat mater dolorosa. Non possiamo nemmeno dimenticare che dall’alto della croce Gesù ha guardato la madre e Giovanni, il discepolo che egli amava, e, come ad un particolare testimone indicò al discepolo Maria, come madre, ed affidò il discepolo alla madre: “Ecco tua madre!”. “Donna, ecco tuo figlio!” (Gv 19, 27.26). Crediamo che in questo solo uomo, cioè proprio in Giovanni, Gesù indicò Maria come madre a ogni uomo, affidò ciascuno ad essa, così come se ogni uomo fosse il suo bambino, il suo figlio o la sua figlia.

Da questo fatto deriva la particolare necessità, che noi - obbedienti a queste parole del testamento di Cristo - affidiamo a Maria noi stessi e tutto ciò che ci appartiene.

3. Lasciandomi guidare da una tale fede ed insieme da una tale speranza, desidero oggi rinnovare ciò che fa parte del testamento pasquale di Cristo ed affidare alla Genitrice di Dio questa città e questa Chiesa che mi ospita oggi come pellegrino. Sia essa la buona stella e la guida sapiente di quanti sono pensosi del suo vero bene e del suo vero progresso sociale e spirituale. Irraggi la sua luce su questa grande famiglia e faccia conoscere a tutti l’urgenza di un nuovo modo di essere e di agire: ispiri i giovani a conseguire i grandi, pacifici ideali della fede cristiana e della giustizia sociale; (perché la fede cristiana non è mai contraria alla giustizia sociale. E se vi dicono che nel nome della giustizia sociale bisogna abbandonare la fede, non gli credete); faccia fiorire in ogni famiglia la concordia e il sorriso dei piccoli; illumini gli uomini della cultura e della scienza nella ricerca della verità, per meglio approfondirla e comunicarla agli altri; faccia sentire ai lavoratori la preziosità della loro opera e quanto la Chiesa li ama e li apprezza; sia la speranza e l’aiuto di coloro che sono senza un lavoro o si sentono emarginati dalla società; la consolazione e il conforto degli infermi, di coloro che piangono e di quanti sono perseguitati a causa della giustizia. Sia madre per tutti! Preghiamola perché conceda a tutti fede, fortezza, bontà e grazia, e perché faccia risplendere sul volto di ogni uomo e di ogni donna la luce redentrice del Cristo risorto “frutto benedetto del suo seno”.

4. “Regina coeli, laetare . . .”.

Tutti coloro che noi affidiamo oggi a te, Maria, Consolata, Ausiliatrice, Gran Madre di Dio, hanno la loro parte nella tappa contemporanea della storia del mondo, della Chiesa, dell’Italia. Attraverso i cuori di tutti passa la corrente misteriosa della storia della salvezza dell’uomo, che corrisponde alle eterne intenzioni dell’amore del Padre. E contemporaneamente negli stessi cuori perdura, su questa terra, la lotta fra il bene ed il male, della quale l’uomo è diventato partecipe sin dal peccato originale.

O madre nostra e signora! All’inizio della storia della salvezza, l’eterno Padre si è prefisso ed ha eletto te, immacolata, come la madre del Verbo incarnato. E all’inizio di questa lotta fra il bene ed il male egli ha stabilito te, quale donna che schiaccia la testa del serpente (cf. Gv 3, 15). In questo modo ha segnato la tua umile maternità come il segno della speranza per tutti coloro che, in questo combattimento, in questa lotta, vogliono perseverare col tuo figlio e vincere il male con il bene.

Noi uomini, che ci avviciniamo alla fine del secondo millennio, sentiamo profondamente queste lotte. Gli avvenimenti, in cui siamo avvolti, ci mostrano continuamente quanto minacciose siano, in noi ed intorno a noi, le forze del peccato, dell’odio, della ferocia e della morte. Rivolgiamo quindi, di nuovo il nostro sguardo verso la madre del redentore del mondo, verso la donna dell’Apocalisse di Giovanni, verso la “donna vestita di sole” (Ap 12, 1), nella quale vediamo te, piena di luce zampillante che illumina le oscure e perigliose tappe delle vie umane sulla terra.

5. O madre, questa preghiera e questo abbandono, che rinnoviamo ancora una volta, ti dica tutto su di noi. Ci avvicini, di nuovo, a te. Madre di Dio e degli uomini, Consolata, Ausiliatrice, Gran Madre di Dio e nostra, e te avvicini, di nuovo, a noi. Non lasciar perire i fratelli del tuo figlio. Dona ai nostri cuori la forza della verità. Dona la pace e l’ordine alla nostra esistenza.

Mostrati nostra madre!
“Regina coeli, laetare!”."

Omelia di Giovanni Paolo II nella Parrocchia di Santa Maria Regina Pacis
La 3a domenica di Pasqua, 20 aprile 1980 - also in Portuguese & Spanish

"1. “Pace a voi!”. Con queste parole Cristo salutò, dopo la sua risurrezione, gli apostoli riuniti nel cenacolo, venendo a loro per la prima volta. “Pace a voi!”. Ciò successe quel giorno, il primo dopo il sabato, in cui le donne si erano recate, di buon mattino, al sepolcro e non avevano trovato in esso il corpo di Cristo - e in seguito, Pietro e Giovanni, da esse avvertiti, avevano fatto la stessa constatazione: la pietra ribaltata, la tomba vuota, le bende, in cui era avvolto il corpo del Signore, per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, in un luogo a parte. La sera di quello stesso giorno Gesù venne a loro, nel cenacolo, dove essi si trovavano per timore dei giudei - venne entrando per la porta chiusa, e li salutò con le parole “Pace a voi” (cf. Gv 20).

Con le stesse parole desidero salutare la parrocchia dedicata alla Madre di Dio Regina della Pace che mi è dato di visitare oggi, terza domenica del periodo pasquale. E pronuncio queste parole del saluto di Cristo con gioia tanto grande, perché la vostra parrocchia porta il nome della Regina della Pace; le parole “pace a voi” sono perciò particolarmente vicine allo spirito che vivifica la vostra comunità. Sotto il patronato di Maria “Regina della Pace” questo saluto di Cristo risorto risuona con la forza particolare della fede, della speranza e della carità. La pace è infatti un particolare frutto di quella carità che vivifica la fede. È la pace che il mondo non può dare, la pace che dà Cristo soltanto: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace” (Gv 14,27).

2. Il mio saluto, pertanto, si rivolge a tutti voi, cominciando dal signor Cardinale Carlo Confalonieri, del titolo della Chiesa suburbicaria di Ostia e decano del Sacro Collegio, che ha voluto essere presente a questa mia visita pastorale. Saluto poi il signor Cardinale Vicario Ugo Poletti, che con la sua presenza ha voluto testimoniare l’affetto che lo lega a questa punta avanzata della città di Roma. Saluto, poi, il Vescovo ausiliare, monsignor Clemente Riva, alla cui sollecitudine è affidata in particolare la zona della quale fa parte questa parrocchia: egli ha compiuto durante lo scorso mese la visita pastorale della vostra comunità, si è reso conto di persona dei problemi che vi si vivono ed ha maturato con voi un progetto concreto di impegno cristiano per il prossimo futuro. Ora è giunto il tempo di attuarlo. Saluto il parroco, don Giuseppe De Filippi, e gli altri sacerdoti, che attendono con dedizione umile e generosa alla cura pastorale di questa porzione del gregge del Signore.

Una particolare parola di saluto desidero rivolgere alle religiose delle quattro congregazioni, che operano nell’ambito della parrocchia: all’apprezzamento con cui l’intera comunità segue il loro servizio nelle varie attività educative ed assistenziali, voglio aggiungere anche il mio plauso, sottolineando in special modo la disponibilità ammirevole che esse dimostrano nel collaborare con le iniziative pastorali, programmate dalla parrocchia.

Non può mancare, infine, un saluto cordiale ai vari gruppi, nei quali si articola l’impegno del laicato cattolico: in parrocchia v’è un nutrito gruppo di catechisti che affiancano i sacerdoti e le suore nella preparazione dei ragazzi ai sacramenti dell’Eucaristia e della cresima, due momenti fondamentali della vita cristiana; ve ne sono poi altri che, dalla preghiera e dalla riflessione comunitaria sulla parola di Dio, traggono incitamento per una adesione più generosa alle esigenze della loro personale vocazione vissuta in dimensione decisamente ecclesiale; vi sono, infine, quelli che si dedicano ad attività di promozione umana fra i ragazzi, i giovani, gli anziani. A tutti va la mia stima sincera ed il più caloroso incoraggiamento.

Una parrocchia ha sempre problemi delicati da risolvere; la vostra ne ha di particolarmente complessi. Non è possibile pensare di poterli affrontare efficacemente senza la collaborazione di tutti. Penso, soprattutto, ai problemi posti dalla crescita vertiginosa della popolazione; a quelli derivanti dalla diversa provenienza dei vari nuclei familiari, molti dei quali hanno alle spalle tradizioni, abitudini, mentalità notevolmente distanti; ai problemi connessi con le difficoltà di inserimento sociale dei giovani e con il conseguente sbandamento di non pochi fra loro... Non è facile costruire, in un simile contesto, una parrocchia che sia veramente Chiesa, nella quale cioè le singole persone giungano a fare un’esperienza di autentica comunione ed a provare la gioia che deriva dal condividere i medesimi beni spirituali nella prospettiva di una comune speranza. È necessario per questo l’impegno di tutte le varie componenti della comunità ed in particolare l’impegno delle famiglie, sul cui apporto all’azione parrocchiale giustamente si è molto insistito durante la visita pastorale. La parrocchia è un edificio per la cui costruzione ognuno deve portare la propria pietra, cioè la testimonianza cristiana data nelle parole e nella vita.

3. In questa luce prego adesso voi, abitanti di Roma, voi, cristiani di Roma, a volervi soffermare con attenzione particolare su di una frase, che ha pronunciato il primo Vescovo di Roma, l’apostolo Pietro. Egli ha pronunciato questa frase insieme con gli altri apostoli con i quali era stato condotto, come testimoniano gli Atti degli Apostoli, davanti al supremo consiglio dei giudei, davanti al sinedrio. Il sommo sacerdote accusa gli apostoli, opponendo loro una contestazione. Dice così: “Vi avevamo espressamente ordinato di non insegnare più nel nome di costui, ed ecco voi avete riempito Gerusalemme della vostra dottrina e volete far ricadere su di noi il sangue di quell’uomo” (At 5,28). Molto significative sono specialmente le ultime parole. Noi infatti ricordiamo bene che dinanzi a Pilato, il quale, quasi per giustificarsi della sentenza pronunciata contro Gesù, aveva detto: “Non sono responsabile, di questo sangue”, la folla ivi riunita, eccitata dal sinedrio, aveva gridato: “Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli” (Mt 27,24-25).

Adesso ascoltando simili parole dalla bocca del sommo sacerdote, Pietro e gli apostoli rispondono: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5,29). E il significato di questa risposta lo spiegano le parole che seguono. Mentre, infatti, gli anziani di Israele chiedono agli apostoli il silenzio su Cristo, Dio invece non permette loro di tacere: “Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avevate ucciso appendendolo alla croce. Dio lo ha innalzato con la sua destra facendolo capo e salvatore, per dare a Israele la grazia della conversione e il perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a lui” (At 5,30-33).

Nelle poche frasi pronunciate da Pietro troviamo una testimonianza intera e completa della risurrezione di Cristo: un’intera e completa teologia pasquale.

Questa verità, che nella nostra epoca ripeterà di nuovo con tutto l’ardore e la convinzione della fede il Concilio Vaticano II, la troviamo già, in tutta la sua profondità e pienezza, in quella risposta di Pietro data al sinedrio.

4. A questa verità si riferiscono le parole: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”.

La verità che confessiamo mediante la fede proviene da Dio. È la parola del Dio vivente. Questa sua parola, indirizzata agli uomini, Dio l’ha pronunciata molte volte per mezzo degli uomini che egli ha mandato - soprattutto l’ha pronunciata mediante il suo Figlio che è diventato uomo. E quando s’erano spente le parole del Figlio, quando la sua testa si era piegata sulla croce nell’ultimo spasimo della morte, quando la sua bocca si era chiusa, allora Dio, per così dire, al di sopra di questa morte, ha pronunciato la parola ultima e decisiva per la nostra fede, la parola della risurrezione di Cristo. E questa parola del Dio vivente ci obbliga più di qualsiasi ordine o intenzione umana.

Questa parola porta in sé l’eloquenza suprema della verità, porta in sé l’autorità di Dio stesso.

Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Egli è la fonte della verità indubbia e infallibile - mentre la verità che può attingere la conoscenza umana e l’intelligenza anche degli uomini più geniali porta con sé la possibilità di sbaglio e di errore. Infatti, la storia del pensiero testimonia che qualche volta hanno sbagliato le più grandi autorità nel campo della filosofia e della scienza - e coloro che ad essi succedevano mettevano in evidenza questi errori portando avanti in questo modo l’opera della conoscenza umana, per altro meravigliosa..., ma sempre umana.

Pietro e gli apostoli stanno dinanzi al sinedrio, hanno piena consapevolezza ed assoluta certezza che, in Cristo, ha parlato Dio stesso - che ha parlato definitivamente con la sua croce e con la sua risurrezione. Pietro e gli altri apostoli, pertanto, come quelli a cui direttamente è stata data questa verità - come coloro che, a suo tempo, hanno ricevuto lo Spirito Santo - devono rendere testimonianza ad essa.

5. Credere vuol dire accettare la verità che viene da Dio con tutta la convinzione dell’intelletto, appoggiandosi sulla grazia dello Spirito Santo “che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a lui” (At 5,32): accettare ciò che Dio ha rivelato, e che sempre giunge a noi mediante la Chiesa nella sua viva “trasmissione”, cioè nella tradizione. L’organo di questa tradizione è l’insegnamento di Pietro e degli apostoli e dei loro successori.

Credere vuol dire accettare la loro testimonianza nella Chiesa, che custodisce questa testimonianza di generazione in generazione, e poi - in base a questa testimonianza - rendere testimonianza alla stessa verità, con la stessa certezza e convinzione interiore.

Nel corso dei secoli cambiano i sinedri che richiedono il silenzio, l’abbandono oppure la deformazione di questa verità. I sinedri del mondo contemporaneo sono del tutto diversi e sono numerosi. Tali sinedri sono i singoli uomini che rifiutano la verità divina; sono i sistemi del pensiero umano, della conoscenza umana; sono le diverse concezioni del mondo ed anche i diversi programmi del comportamento umano; sono anche le varie forme di pressione della cosiddetta opinione pubblica, della civiltà di massa, dei mezzi delle comunicazioni sociali di tinta materialistica, laica, agnostica, antireligiosa; sono infine anche alcuni contemporanei sistemi di governo, che - se non privano totalmente i cittadini della possibilità di confessare la fede - almeno la limitano in diversi modi, emarginano i credenti e fanno di loro quasi dei cittadini di categoria inferiore... e dinanzi a tutte queste forme moderne del sinedrio d’allora, la risposta della fede rimane sempre la stessa: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avevate ucciso appendendolo alla croce... E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo...” (At 5,29-32).

“Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini...”.

6. Pensiamo, cari fratelli e sorelle, a tutti quegli uomini nel mondo, nostri fratelli in Cristo, che danno tale risposta di fede... in condizioni a volte molto più difficili di quelle in cui noi ci troviamo.

Pensiamo a coloro che pagano il più grande prezzo per tale risposta: a volte quello della vita stessa, a volte quello della privazione della libertà, o dell’emarginazione sociale, o dello scherno...

Il libro degli Atti dice che gli apostoli “se ne andarono dal sinedrio lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù” (At 5,41).

Anche oggi non mancano simili testimoni. Con la stessa forza dello Spirito fruttificano in essi le parole di Pietro, pronunciate all’inizio della storia della Chiesa: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5,29).

Preghiamo spesso per coloro la cui fede richiede il prezzo di questa grande e, a volte, estrema prova, affinché non manchi loro la forza dello Spirito.

E infine guardiamo a noi stessi: qual è la nostra fede? la fede degli uomini di questa Roma, di cui il primo Vescovo fu proprio Pietro?

È questa fede così univoca e chiara come quella confessata da Pietro dinanzi al sinedrio? O non è invece a volte piuttosto equivoca? mescolata con sospetti e con dubbi? mutilata? adattata ai nostri punti di vista umani? ai criteri della moda, della sensazione, dell’opinione umana?

Possiamo veramente far nostre le parole di Pietro: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”?

E preghiamo per la nostra fede.

Per la fede della generazione giovane. E per la fede della generazione vecchia. Sono diverse le prove che essa attraversa nei singoli luoghi della terra... nei singoli uomini.

Non ci manchi mai quella vista, che anche a noi - come agli apostoli sul lago - permetta di scoprire la presenza di Cristo: “È il Signore” (Gv 21,7), e di navigare verso di lui.

Dio non permetta che ci allontaniamo da lui."

Papa San Juan Pablo II's words at the Regina Caeli
III Sunday of Easter, 20th April 1980 - also in Portuguese & Spanish

"1. Mentre ci riuniamo oggi, di nuovo, sulla piazza san Pietro per proclamare la gioia pasquale con le parole del saluto “Regina Coeli”, permettete che il mio ricordo si rivolga a quella città, in cui mi è stato dato di pronunciare questa antifona pasquale una settimana fa: a Torino.

E prego anche voi tutti qui riuniti di salutare, insieme con me, la Madre del risorto nei santuari mariani del capoluogo del Piemonte, i quali, con un’eco così profonda dei cuori, hanno risposto, una settimana fa, a queste parole: “Regina coeli, laetare ...”.

Era l’eco di tutti quei luoghi, che ho potuto visitare domenica scorsa, “in albis”, alla conclusione dell’ottava pasquale, iniziando dal luogo dedicato alla Madonna santissima, che si chiama, così eloquentemente, “Consolata”, luogo in cui l’afflizione e il dolore di tanti uomini s’incontrano con la gioia e la consolazione, e l’avvilimento e la paura, causati dagli avvenimenti dolorosi dei nostri tempi, cedono il passo dinanzi alla speranza, che scaturisce dal cuore della Madre del risorto.

Proprio da quel luogo, da quel santuario della speranza mi è stato dato di iniziare il mio incontro con la Chiesa e con la città. Esso ha avuto molte tappe consecutive, molti momenti carichi di profondo contenuto. Bisogna esprimere un certo rammarico perché essi sono stati così brevi.

Spero tuttavia che ciò che non si è potuto contenere nel tempo, si sia contenuto nel cuore, e continui a vivere lasciando in esso tracce durature.

Poi, il Cottolengo: la casa della Divina Provvidenza e l’incessante testimonianza resa a Cristo nelle sue sorelle e nei suoi fratelli più bisognosi.

E ancora, la cattedrale di Torino: il luogo dove si trova, da secoli, la sacra Sindone, la reliquia più splendida della passione e della risurrezione. Là mi è stato dato di incontrarmi con l’episcopato del Piemonte e con i sacerdoti di Torino, con i quali ho concelebrato l’Eucaristia sul sagrato del tempio.

E inoltre, le religiose, riunite nel santuario dell’Ausiliatrice, piene dell’amore e della dedizione alla causa di Cristo.

E quindi, i giovani sulla piazza davanti alla Basilica salesiana (e poi dentro, nell’oratorio): la gioventù così calorosa, instancabile, così sensibile a ogni parola del Vangelo.

E infine, tutta Torino: la città di due milioni di abitanti, nella sua struttura contemporanea. Come dimenticare l’incontro, che si è svolto lungo le vie della metropoli, su tutte le strade del percorso fino alla Gran Madre, con una folla gigantesca, la cui immagine porto nei miei occhi?!

Tutto questo desidero oggi qui ricordare. Ringraziare di tutto le autorità della città, e i pastori della Chiesa torinese. Tutto desidero inserire nell’odierna preghiera di gioia pasquale, rivolta alla Genitrice di Dio: “Regina coeli, laetare!”.

2. Perché proprio Torino?

Dopo la visita, vedo ancora meglio i motivi che hanno spinto il Cardinale Arcivescovo a farmi questo invito e quale risonanza essi hanno trovato nel mio cuore!

Ebbene, prima di tutto, il bisogno di un atto di particolare solidarietà con quella città e con quella Chiesa, verso le quali si rivolgono, non senza preoccupazione, gli occhi di tutta l’Italia.

Contemporaneamente: il bisogno di avvicinamento a quel particolare santuario che è Torino, la Torino della sacra Sindone, la Torino di tanti santi a cominciare dal Vescovo san Massimo, e soprattutto di quelli che hanno svolto il loro apostolato in quella città alla soglia dei nostri tempi, il Cafasso, don Bosco, il Cottolengo, il Murialdo.

Infine: il bisogno di comprendere, in particolare, il paradosso di Torino. Da una parte, una eredità così potente di santità dalla chiara dimensione sociale, e dall’altra una così grave minaccia dei fondamentali valori della convivenza e dell’ordine sociale. La tensione fra l’eredità della santità, l’industrializzazione e il terrorismo.

Se tutto ciò costituisce una particolare sfida per la Chiesa, se con tutto ciò si spiega l’invito del Papa a Torino, oggi, dopo la realizzazione di quell’invito, mi sia permesso di dire che il frutto di tale pellegrinaggio pasquale e della visita è una nuova esperienza della fede in Cristo, il quale costantemente restituisce all’uomo la gioia di essere uomo.

Sì. Cristo dà all’uomo questa gioia. E questo è il dono più grande. È il fondamento di tutto ciò che gli uomini desiderano e che possono realizzare attraverso qualsiasi loro programma o ideologia.

Sì. Ciò è alle basi di ogni cosa. L’uomo deve essere riconciliato con la sua umanità. Non lo si può privare di ciò su qualsiasi strada. Non lo si può privare soprattutto dell’accettazione della propria umanità. Non lo si può privare della gioia semplice, fondamentale del fatto di essere uomo.

Cristo dà all’uomo questa pace. E gli dà questa gioia. Questa è proprio la gioia pasquale.

Insieme con voi, ed insieme con tutti coloro che hanno partecipato al mio pellegrinaggio, desidero ringraziare Cristo perché per le vie di Torino è passata questa gioia pasquale e questa pace che dà Cristo.

“Regina coeli, laetare!”


After the Regina Coeli

Desidero ora esprimere la mia pena più profonda per l’attacco terroristico, diretto all’ambasciatore di Turchia presso la santa Sede, signor Vecdi Türel, giovedì scorso, qui a Roma.

Ricordo con animo grato come quell’eccellente diplomatico sia stato al mio fianco, quando, nello scorso novembre, ho visitato la sua patria; e non posso non pensare con dolore che egli avrebbe potuto perdere ora la vita come avvenne al suo predecessore, in un vile atto proditorio, tanto insano quanto inutile, rivolto contro un funzionario fedele al proprio dovere, incaricato di rappresentare il suo nobile paese presso la santa Sede, protetto, nell’adempimento del suo quotidiano lavoro, dal diritto delle genti.

Ringrazio Iddio perché l’attentato non ha avuto conseguenze più gravi e rinnovo all’ambasciatore, e al suo collaboratore ferito, il mio augurio cordiale di una pronta ripresa; al tempo stesso, ripeto tutta la mia riprovazione per metodi inqualificabili del terrorismo, che provocano lo sdegno di tutte le coscienze rette.

Non così, non così si risolvono i problemi dell’umana convivenza, ma soltanto si aggravano di più, perché creano confusione ideologica, colpiscono persone innocenti, danno origine a spirali di violenza irrazionale, che distrugge senza costruire e, soprattutto, offendono e umiliano l’uomo: l’uomo creatura sublime di Dio, che non si può, non si deve oltraggiare.

Come in tutte le precedenti analoghe occasioni, io levo alta la mia voce contro queste paurose espressioni della barbarie moderna - da qualunque parte esse vengano - che fanno retrocedere l’umanità verso secoli bui di distruzione e di terrore e non possono, proprio perché ricorrono a tali estremi, essere posti a sostegno di nessuna causa; e prego il Signore che plachi gli animi inquieti e conceda finalmente quella tranquillità dell’ordine e nel rispetto dei diritti di ogni persona umana senza la quale il mondo non può avanzare verso gli auspicabili e necessari traguardi di solidarietà, di progresso, di pace, nelle relazioni nazionali e internazionali.

Oggi si celebra in tutta Italia la “Giornata dell’Università Cattolica”. Voi conoscete le grandi finalità che tale istituzione persegue. Ne offre una sintesi significativa il tema proposto quest’anno alla riflessione della comunità cristiana: “Verità per l’uomo”. Nel servizio all’uomo, non sono solo i bisogni materiali che contano. V’è una fame dello spirito, che può essere saziata soltanto col pane della verità. L’Università Cattolica è nata per recare il proprio contributo all’appagamento di questa fame. È una causa nobilissima, come vedete. L’affido alla vostra preghiera.

Desidero ora rivolgere un saluto particolarmente affettuoso al gruppo dei motociclisti partecipanti in questi giorni al Raduno Nazionale “Città Eterna”, per iniziativa del “Moto Club Roma”.

Cari motociclisti, mi fa piacere vedervi così numerosi e così pieni di entusiasmo e vi ringrazio per codesta significativa presenza. Con tutta la simpatia che nutro verso i cultori dello sport in tutte le sue forme, vi auguro di saper sempre trarre dalle vostre competizioni sportive quelle soddisfazioni che soltanto uno spirito di lealtà e di rispetto della persona e delle norme di circolazione può pienamente procurarvi. Sappiate trascorrere con tale animo sia i momenti di svago e di turismo, sia quelli più impegnativi delle gare vere e proprie. Ma, al di là di queste alte affermazioni, ma pur sempre effimere, sappiate guardare a quei traguardi superiori, che valgono per l’eternità.

Con questi voti vi affido alla protezione della Madonna della Strada e vi benedico di cuore.

Sono presenti nella Piazza numerosi altri gruppi di pellegrini. Tra questi desidero ricordare, in particolare, le Alunne della Terza Classe della Scuola Magistrale della “Sacra Famiglia” di Cuneo; gli Alunni della Quinta Classe del Liceo Scientifico Statale di Treviso; i membri dell’Associazione Insigniti degli Ordini della Repubblica, con sede in Biella.

A tutti il mio cordiale saluto, la mia sincera gratitudine per la loro presenza, il mio fervido augurio di intensa gioia pasquale!"

Omelia di Giovanni Paolo II alla Santa Messa a Kinshasa, Zaire
in occasione dell'Ordinazione di 8 Vescovi
Kishasa, V Domenica di Pasqua, 4 maggio 1980 - also in French, German, Portuguese & Spanish

"Cari fratelli in Cristo.
In questo giorno di grande gioia, in questa circostanza solenne mi rivolgo anzitutto a voi che state per ricevere la grazia dell’episcopato: “Non vi chiamo più servi . . . io vi ho chiamati amici” (Gv 15, 15). Questo disse Cristo agli apostoli, questo dice anche a voi.

1. Già da lungo tempo voi siete intimamente associati alla vita di Cristo. La vostra fede si è sviluppata su questo suolo africano, nella vostra famiglia o nella vostra comunità cristiana ed essa ha prodotto i suoi frutti. Voi avete seguito Cristo che vi invitava a consacrarvi interamente alla sua missione. Voi avete ricevuto il sacerdozio ministeriale proprio del clero per essere dispensatori dei misteri di Dio. Voi vi siete sforzati di esercitarlo con sapienza e coraggio.

Ed ora siete stati scelti per “pascere il gregge di cui lo Spirito Santo vi ha costituiti custodi”, come dice san Paolo agli anziani di Efeso, Vescovi per presiederlo in nome e in luogo di Dio e camminare alla sua testa. Voi ricevete, come diceva ancora sant’Ignazio d’Antiochia, “il ministero della comunità”. Per questo, come gli apostoli, voi siete arricchiti da Cristo di una speciale effusione dello Spirito Santo che renderà fecondo il vostro ministero (cf. Oratio consecratoria in Ordinatione Episcopi); voi siete investiti della pienezza del sacerdozio, sacramento che imprime in voi il suo carattere sacro; così, in modo eminente e visibile, voi terrete in luogo di Cristo stesso, Dottore, Sacerdote e Pastore (cf. Lumen Gentium, 20 21). Ringraziate il Signore! E cantate: “alleluia”!

È una grande gioia e un onore per le comunità dove avete le vostre radici o che vi ricevono come pastori, per lo Zaire, il Burundi, il Sudan, Gibuti, ed anche per le comunità religiose che vi hanno formato. Voi siete stati “presi tra gli uomini e stabiliti per intervenire in favore degli uomini nelle loro relazioni con Dio” (Eb 5, 1). Quando delle giovani Chiese vedono i loro figli assumere l’opera di evangelizzazione e diventare i Vescovi dei loro fratelli, è un segno particolarmente eloquente della maturità e dell’autonomia di queste Chiese! In questo giorno, guardiamoci dal dimenticare anche i meriti di tutti i pionieri che hanno preparato da lontano o da vicino questi nuovi responsabili e in particolare i sacerdoti e i Vescovi missionari. Anche per loro rendiamo grazie al Signore!

2. Ad agire mediante il nostro ministero è Cristo risuscitato, glorificato dalla mano di Dio e messo da suo Padre in possesso dello Spirito Santo promesso (cf. At 2, 33), quel Cristo che noi contempliamo con una particolare gioia in questo tempo pasquale. Infatti è lui il principio, è lui la testa del corpo che è la Chiesa (cf. Col 1, 18). Nello Spirito Santo, Cristo prosegue la sua opera per mezzo di quanti ha stabiliti pastori e che non cessano di trasmettere questo dono spirituale attraverso l’imposizione delle mani. Essi sono “il tralcio del seme apostolico” (cf. Lumen Gentium, 20, ubi citatur Tertullianus). Così la linea dell’episcopato continua senza interruzione fin dalle origini.

Voi entrate dunque nel collegio episcopale che succede al collegio degli apostoli. Voi lavorerete a fianco ed insieme ai vostri maggiori: più di cinquanta zairesi sono già stati aggregati al corpo episcopale dopo la prima ordinazione Vescovile nel 1956, e gli altri paesi qui rappresentati si trovano in una situazione simile. Voi lavorerete in comunione con i vostri fratelli sparsi nel mondo intero, formanti un tutt’uno nel Cristo, uniti intorno al Vescovo di Roma, successore di Pietro. Voi sarete tanto più attaccati a questa comunione indispensabile in quanto siete ordinati da colui al quale lo Spirito Santo ha affidato, come a Pietro, la carica di presiedere all’unità. Sì, ringraziate il Signore! E cantate: “alleluia”!

3. Voi ricevete una grande grazia per esercitare una carica pastorale esigente. Voi ne conoscete i tre aspetti che vengono solitamente indicati come “magistero dottrinale, sacerdozio del culto sacro, ministero del governo” (cf. Lumen Gentium, 20). La costituzione conciliare “Lumen Gentium” (Ivi, 18-27) e il decreto “Christus Dominus” (cf. Christus Dominus, 11-19) rimangono la carta del vostro ministero che dovrete spesso meditare.

Voi siete anzitutto responsabili della predicazione del Vangelo, il cui libro vi sarà imposto sul capo durante la preghiera consacratoria e poi rimesso nelle vostre mani. Qui in Africa, agli uomini di Chiesa si domanda anzitutto: dateci la parola di Dio. È davvero una cosa meravigliosa vedere la sete dei vostri compatrioti per il Vangelo: essi sanno, essi presentono trattarsi di un messaggio di vita. Per questo voi non sarete soli. I vostri sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, i vostri catechisti, i vostri laici sono anch’essi evangelizzatori meritevolissimi, quotidiani, tenaci, tanto vicini al popolo, talvolta perfino pionieri, nei luoghi o negli ambienti dove il Vangelo non è ancora pienamente penetrato. Il vostro ruolo sarà di sostenere il loro zelo, di armonizzare il loro apostolato, di vegliare affinché l’annuncio, la predicazione e la catechesi siano fedeli al senso vero del Vangelo e a tutta la dottrina dogmatica ed etica che la Chiesa ha esplicato nel corso dei suoi venti secoli a partire dal Vangelo. Dovrete cercare nello stesso tempo di far sì che questo messaggio raggiunga veramente i cuori e trasformi le condotte, utilizzando il linguaggio che si addice ai vostri fedeli africani.

Come la liturgia si accinge a dirvi: a tempo e a contrattempo “predicate voi stessi la parola di Dio con grande pazienza e con sollecitudine di istruire”. Voi siete al più alto rango testimoni della verità divina e cattolica. Voi ricevete l’incarico di santificare il Popolo di Dio. In questo senso voi siete padri e trasmettete la vita di Cristo con i sacramenti che voi celebrate o di cui affidate ai vostri sacerdoti l’amministrazione regolare degna e feconda. Avrete a cuore la preparazione dei vostri fedeli a questi sacramenti e li incoraggerete a viverli nella perseveranza. La vostra preghiera non cesserà di accompagnare il vostro popolo sulle vie della santità. Voi contribuirete a preparare con la grazia del Signore una Chiesa senza macchia né ruga, che annuncia la Gerusalemme nuova di cui ci parla l’Apocalisse, “la sposa preparata per il suo Sposo” (Ap 21, 2).

4. Infine voi ricevete il governo pastorale di una diocesi o vi partecipate come Vescovi ausiliari.

Cristo vi da autorità per esortare, per distribuire i ministeri e i servizi secondo i bisogni e le capacità, per vegliare al loro adempimento, riprendere all’occorrenza con misericordia quanti se ne allontanino, vegliare su tutto il gregge e difenderlo come diceva san Paolo (At 20, 29-31), suscitare uno spirito sempre più missionario. Cercate in tutto la comunione e l’edificazione del corpo di Cristo. Voi portate a buon diritto sulla testa l’emblema del capo e in mano la croce del pastore.

Ricordatevi che la vostra autorità, secondo Gesù, è quella del buon pastore, che conosce le sue pecore ed è attentissimo a ciascuna; quella del Padre che si impone per il suo spirito di amore e di dedizione; quella del funzionario pronto a rendere conto al suo padrone; quella del “ministro” che è in mezzo ai suoi “come colui che serve” ed è pronto a donare la sua vita. La Chiesa ha sempre raccomandato al capo della comunità cristiana la cura particolare dei poveri, dei deboli, di coloro che soffrono, degli emarginati di ogni specie. Essa ritiene di accordare un sostegno speciale a sacerdoti e diaconi, vostri compagni di servizio: essi sono per voi fratelli, figli, amici (cf. Christus Dominus, 16).

L’amministrazione rigorosa che vi è affidata richiede da parte vostra, con l’autorità, la prudenza e la saggezza degli “anziani”, lo spirito di equità e di pace, la fedeltà alla Chiesa di cui il vostro anello è simbolo; una purezza esemplare di dottrina e di vita. Si tratta, in definitiva, di condurre chierici, religiosi e laici alla santità di nostro Signore; si tratta di condurli a vivere il comandamento nuovo dell’amore fraterno che Gesù ci ha lasciato come suo testamento (Gv 13, 34). Per questo il recente Concilio ricorda a tutti i Vescovi il dovere primordiale di “mostrare l’esempio della santità attraverso la loro carità, umiltà e semplicità di vita” (cf. Christus Dominus, 15). San Pietro scriveva agli “anziani”: “Pascete il gregge di Dio . . . nello spirito di Dio . . . Mostratevi i modelli del gregge” (1 Pt 5, 2-3).

5. Così voi perverrete al bene delle anime, alla loro salvezza. Così voi perseguirete l’edificazione della Chiesa già così bene impiantata nel cuore dell’Africa e particolarmente in ciascuno dei vostri paesi. Così voi apporterete una parte preziosa alla vitalità della Chiesa universale, portando con me e con l’insieme dei Vescovi la sollecitudine di tutte le Chiese.

D’altronde, formando le coscienze secondo la legge di Dio ed educandole alle responsabilità e alla comunione nella Chiesa, voi contribuirete a formare i cittadini onesti e coraggiosi di cui il paese ha bisogno, nemici della corruzione, della menzogna e dell’ingiustizia, artigiani della concordia e dell’amore fraterno senza frontiere, solleciti di uno sviluppo armonioso e specialmente delle categorie più povere. Ciò facendo, voi esercitate la vostra missione, che è di ordine spirituale e morale: essa vi permette di pronunciarvi sugli aspetti etici della società ogni volta che i diritti fondamentali delle persone, le libertà fondamentali e il bene comune l’esigono. Tutto questo nel rispetto delle autorità civili che, sul piano politico, e nella ricerca dei mezzi per promuovere il bene comune, hanno le loro competenze e responsabilità specifiche. Così voi preparerete in profondità il progresso sociale, il benessere e la pace della vostra cara patria e meriterete la stima dei vostri concittadini. Voi siete i pionieri del Vangelo e della Chiesa e i pionieri della storia del vostro paese.

6. Fratelli carissimi, questo ideale non vi deve sopraffare. Al contrario, deve attrarvi, servirvi da trampolino e da speranza. Certo, noi portiamo tutti questi tesori in vasi d’argilla (cf. 2 Cor 4, 7), compreso colui che vi parla e al quale si riserva il nome di “santità”. Ci vuole proprio dell’umiltà per sopportare questo nome! Ma sottomettendo umilmente tutta la vostra persona a Cristo che vi chiama a rappresentarlo, voi siete sicuri della sua grazia, della sua forza, della sua pace. Come san Paolo, “io vi affido a Dio e alla parola della sua grazia” (At 20, 32). Che Dio sia glorificato in voi!

7. Ed ora io mi rivolgo più direttamente a tutti coloro che vi circondano con la loro simpatia, con la loro preghiera. Cari fratelli e sorelle di Kinshasa dello Zaire, del Burundi, del Sudan, di Gibuti: accogliete con gioia i nostri fratelli che diventano vostri padri e pastori. Abbiate per essi il rispetto, l’affetto, l’obbedienza che dovete ai ministri di Cristo che è via, verità e vita. Ascoltate la loro testimonianza perché essi vengono a voi come primi testimoni del Vangelo. Il loro messaggio è il messaggio di Gesù Cristo. Aprite le vostre anime alle benedizioni di Cristo, alla vita di Cristo che essi vi portano. Seguiteli sui cammini che vi tracciano affinché la vostra condotta sia degna dei discepoli di Cristo. Pregate per loro. Con loro voi edificherete la Chiesa in Africa, voi svilupperete delle comunità cristiane, in stretta comunione con la Chiesa universale di cui avete ricevuto e continuate a ricevere la linfa, in rapporto confidente con la sede di Pietro, principio d’unità, ma con il vigore e le ricchezze spirituali e morali che il Vangelo avrà fatto sorgere dalle vostre anime africane.

Per mezzo della divina provvidenza quest’ora solenne tocca anche l’Africa di lingua inglese e in particolare il Sudan. Nella persona del nuovo Vescovo ausiliare di Juba, saluto l’intera Arcidiocesi e tutti i figli e figlie della Chiesa in questa terra. Grazie e pace a tutti voi in nome di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, Gesù Cristo, il buon pastore, di cui la cura pastorale di tutta la sua Chiesa continua ad essere esercitata attraverso il ministero dei Vescovi. Possa l’amore del Salvatore essere nei vostri cuori oggi e sempre.

E voi, cari amici che non condividete la fede cristiana ma avete tenuto ad accompagnare i cattolici a questa celebrazione liturgica, accogliete il mio grazie e il mio invito a considerare anche voi questi nuovi Vescovi come capi religiosi, difensori dell’uomo, costruttori di pace.

Ed ora ci prepariamo al rito della ordinazione. Come l’apostolo Paolo presso gli “anziani” di Efeso ai quali aveva fatto le sue pressanti raccomandazioni, noi ci accingiamo a pregare. Benedetto sia il Signore che prolunga così la sua opera tra noi! Che tutti gli apostoli intercedano per noi! Che la Vergine Maria, Madre del Salvatore, Madre della Chiesa, Regina degli Apostoli intercedano per noi! Noi le consacriamo questi nuovi servitori della Chiesa. Rendiamo grazie al Signore nella fede, la carità e la speranza. Amen. Alleluia!

Papa San Juan Pablo II en la Regina Caeli
V Sunday of Easter, Kinshasa, Zaïre, 4 May 1980 - also in French, German, Portuguese & Spanish

"Cari fratelli e sorelle di Kinshasa, dello Zaire e dell’Africa, presenti qui o collegati a noi attraverso la radio, io vi invito a fare una sosta nel mezzo di questa splendida giornata, per rivolgervi alla Vergine Maria, madre nostra. È una bella usanza, un’usanza antica della Chiesa cattolica, di marcare con una sosta di preghiera, il mattino, il mezzogiorno o la sera, ripetendo a Maria il primo saluto dell’arcangelo Gabriele e la sua risposta, nell’Angelus, o ancora, durante il tempo pasquale, cantando la nostra lode alla Regina del cielo, “Regina Coeli”.

Il Figlio di Dio si è fatto carne in lei, è l’incarnazione; egli è poi risorto; ecco i misteri gaudiosi e gloriosi che sono al centro della nostra fede. Bisogna che noi li contempliamo incessantemente con Maria. Sì, è con Maria, Madre di Gesù, che si diventa dei veri discepoli del suo figlio, come gli apostoli a Cana.

È con Maria che si apre il cuore allo Spirito Santo, come gli apostoli nel giorno della Pentecoste. È con Maria, con questa madre, che si ricorre alla tenerezza paterna di Dio, per tutte le nostre necessità umane e spirituali. Gli africani comprendono molto bene, nelle loro famiglie, il ruolo della donna portatrice di vita e custode del focolare. Come vorrei, cari amici, che voi aveste una devozione spontanea e frequente per Maria, la donna benedetta fra tutte le donne, la donna glorificata accanto al Signore Gesù, la madre che Dio ci dona!

Noi la preghiamo per le grandi intenzioni dell’Africa. Perché Dio vi abbia sempre il posto che gli è dovuto. Perché ogni uomo sia rispettato nella sua dignità di uomo e di figlio di Dio, perché i poveri, i malati, i vecchi, i prigionieri, gli stranieri trovino conforto e speranza. Perché i popoli africani, che manifestano un’ospitalità così bella, beneficino della solidarietà rispettosa degli altri popoli. Perché essi salvaguardino, purificandoli senza tregua, i veri valori dell’anima africana e ne arricchiscano il patrimonio dell’umanità. Perché la pace regni nelle nazioni e tra le nazioni. E che i responsabili dei popoli, li guidino, in spirito di servizio, nella giustizia e con sapienza.

Noi preghiamo in modo particolare Maria perché il Vangelo di Gesù sia sempre accolto in Africa come luce e come salvezza, perché esso è ai nostri occhi la luce e la salvezza. Perché le comunità cristiane si ingrandiscano e si affermino nell’unità e nella santità. Perché i laici vivano secondo il loro battesimo. Perché Dio susciti numerose vocazioni di sacerdoti, di religiosi e di religiose e li porti al loro compimento. E preghiamo specialmente per questi nuovi Vescovi sui quali noi abbiamo imposto le mani per comunicare la pienezza dei doni dello Spirito Santo. La scelta di questi pastori è un segno della maturità delle vostre Chiese. Essi stanno ora per unirsi ai loro fratelli, ai miei fratelli, per camminare alla testa del gregge, come Gesù ha chiesto agli apostoli ed in modo particolare a Pietro.

Che Maria vegli su queste Chiese, sulla Chiesa unica di suo Figlio!"

Papa San Giovanni Paolo II alla Regina Coeli en Abidjan
Costa d'Avorio, VI Domenica di Pasqua, 11 maggio 1980 - also in French, Portuguese & Spanish

"Cari fratelli e sorelle in Cristo, che mi ascoltate direttamente o sulle onde della radio,
È ora di onorare la Vergine Maria recitando il “Regina Coeli”. Vorrei che questa lode mariana fosse per voi come lo è per me un grazie sentito a Colei che la Chiesa venera dalla sua fondazione come la Santissima Madre di Cristo Redentore, a Colei che la Chiesa - Corpo Mistico di Gesù - considera come sua Madre.

Per dieci giorni, sono stato il testimone meravigliato e spesso commosso della vitalità delle giovani Chiese d’Africa! La promessa di Cristo: “Sarò con voi fino alla fine dei secoli” mi è ritornata ripetutamente alla mente durante le miei visite pastorali!

Invito tutte le Chiese, ed in particolare le Chiese della vecchia cristianità, a guardare con stima e fiducia le loro Chiese sorelle in un dialogo fruttuoso. La fame della Parola di Dio, la spontaneità della preghiera, del senso religioso, la gioia e la fierezza d’appartenere alla Chiesa, l’accoglienza ospitale, il senso di responsabilità di vescovi e sacerdoti, la generosità dei religiosi, l’ardore apostolico dei catechisti, la solidarietà delle comunità cristiane, l’aiuto reciproco fraterno, disinteressato e coraggioso che continua a portare sacerdoti, religiosi e laici venuti da altre Chiese, e molti altri segni incoraggianti, ci invitano a rendere grazie a Dio e possono stimolare il nostro zelo, la nostra fede e la nostra carità. Queste Chiese sono state innestate sulla Chiesa universale da pionieri missionari animati da una grande fede; esse danno ora i loro propri frutti che hanno il profumo dell’Africa e l’autenticità del cristianesimo; esse fanno anche beneficiare gli altri della loro testimonianza. Hanno bisogno dell’aiuto fraterno per affrontare i loro immensi bisogni umani e spirituali. Possano questi scambi proseguire nello spirito di comunione che caratterizza la Chiesa. Nella gioia pasquale, contempliamo la Vergine Maria presso suo Figlio nella gloria e preghiamola gli uni per gli altri.

Che essa vegli su queste Chiese che le affidiamo! Che essa ottenga per loro la luce e la forza dello Spirito Santo!"

Omelia di Papa San Giovanni Paolo II alla Santa Messa en Yamoussoukro
Costa d'Avorio, VI Sunday of Easter, 11 May 1980 - also in French, Portuguese & Spanish

"Cari studenti e studentesse,
cari giovani preti che concelebrate con me questa sera, e che mi date una grande gioia, la gioia di sapere l’avvenire della Chiesa in Costa d’Avorio garantito dai suoi figli.

1. Come ringraziarvi d’essere venuti così numerosi, così gioiosi e così fiduciosi attorno al padre e al capo della Chiesa cattolica? Io auguro e chiedo a Dio che questo incontro sia un momento di comunione profonda dei nostri cuori e dei nostri spiriti, un momento indimenticabile per me e determinante per voi.

I vostri problemi e le vostre aspirazioni di studenti avoriani sono giunti a mia conoscenza. Io ne sono allo stesso tempo felice e commosso. È dunque a dei giovani, concretamente situati e portatori di grandi speranze umane e cristiane, che io mi rivolgo in tutta confidenza. La liturgia della parola che è appena terminata ha certamente contribuito a mettere le vostre anime in stato di recettività. Queste tre letture costituiscono un quadro ideale per l’impegnativa meditazione che noi faremo fra poco. La Chiesa alla quale siete stati aggregati per mezzo del battesimo e della confermazione - e avrà d’altronde la gioia di conferire quest’ultima a parecchi di voi - è una Chiesa aperta, fin dalla sua fondazione, a tutti gli uomini e a tutte le culture; una Chiesa certa di conoscere un termine glorioso attraverso le umiliazioni e le persecuzioni che le sono inflitte nel corso della storia; una Chiesa misteriosamente animata dallo spirito della Pentecoste e desiderosa di rivelare agli uomini la loro dignità inalienabile e la loro vocazione di “familiari di Dio”, di creature inabitate da Dio, Padre, Figlio e Spirito. Come è tonificante respirare quest’atmosfera d’una Chiesa sempre giovane e ardita!

I vostri Vescovi hanno dunque recentemente indirizzato, a voi, ma anche ai vostri genitori e ai vostri responsabili, una lettera che voleva diagnosticare i pericoli che minacciano la gioventù e provocare in questo ceto come tra gli adulti un generoso risveglio spirituale. Parecchi di voi sono molto coscienti delle difficoltà e delle miserie che raggiungono gli ambienti dei giovani. Senza generalizzare, essi non hanno paura di chiamare le cose col loro nome e d’interrogare i più anziani riferendosi alle celebri parole del profeta Ezechiele: “I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati” (Ez 18,2).

2. Oggi, da parte mia, vorrei convincervi di una verità di buon senso ma fondamentale che vale per ogni uomo e ogni società che soffrono fisicamente o moralmente: e cioè che il malato non può guarire se non prende lui stesso i rimedi che sono necessari. È quanto l’apostolo san Giacomo voleva far comprendere ai primi cristiani (cf. Gc 1,23-26). A che pro’ diagnosticare il male nello specchio della coscienza individuale e collettiva, se subito lo si dimentica o se si rifiuta di curarlo?

Ciascuno nella società porta delle responsabilità nei confronti di questa situazione e ciascuno è dunque chiamato a una conversione personale che è in sostanza una forma di partecipazione all’evangelizzazione del mondo (cf. Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 21.41). Ma a voi domando: non è vero che se tutti i giovani consentono a cambiare la loro vita, tutta la società cambierà? Perché attendere più a lungo soluzioni già fatte ai problemi di cui voi soffrite? Il vostro dinamismo, la vostra immaginazione, la vostra fede sono capaci di trasportare le montagne!

Guardiamo insieme, con calma e con realismo, le strade che vi condurranno verso le società che voi sognate. Una società costruita sulla verità, la giustizia, la fraternità, la pace: una società degna dell’uomo e conforme al progetto di Dio. Queste strade sono ineluttabilmente quelle della vostra ardente preparazione alle vostre responsabilità di domani e quelle di un vero risveglio spirituale.

Giovani avoriani, ritrovate insieme il coraggio di vivere! Gli uomini che fanno avanzare la storia, ai livelli più umili o più elevati, sono proprio coloro che restano convinti della vocazione dell’uomo; vocazione di cercatore, di lottatore e di costruttore. Qual è la vostra concezione dell’uomo? È una questione fondamentale, perché la risposta sarà determinante per il vostro avvenire e l’avvenire del vostro paese, perché voi avete il dovere di realizzare la vostra vita.

3. Voi avete, di fatto, degli obblighi di fronte alla comunità nazionale. Le generazioni passate vi portano invisibilmente. Sono esse che vi hanno permesso di accedere agli studi e a una cultura destinata a fare di voi i quadri dirigenti di una nazione giovane. Il popolo conta su di voi.

Perdonategli di considerarvi come dei privilegiati. Voi lo siete realmente, almeno sul piano della ripartizione dei beni culturali. Quanti giovani della vostra età - nel vostro paese e nel mondo - sono al lavoro e contribuiscono già, come operai o agricoltori, alla produzione e al successo economico del loro paese! Altri, purtroppo, sono senza lavoro, senza mestiere, e talvolta senza speranza. Altri ancora non hanno e non avranno la fortuna di accedere ad una scolarizzazione di qualità. Voi avete verso tutti un dovere di solidarietà. Ed essi hanno verso di voi il diritto di essere esigenti. Cari giovani, volete essere i pensatori, i tecnici, i responsabili di cui il vostro paese e l’Africa hanno bisogno? Fuggite come la peste il lassismo e le facili soluzioni. Siate indulgenti con gli altri e severi con voi stessi! Siate uomini!

4. Lasciatemi ancora sottolineare un aspetto molto importante della vostra preparazione umana, intellettuale, tecnica, per i vostri compiti futuri. Anche questo fa parte dei vostri doveri. Custodite bene le vostre radici africane. Salvaguardate i valori della vostra cultura. Voi li conoscete e ne siete fieri: il rispetto della vita, la solidarietà familiare e il sostegno ai genitori, la deferenza nei confronti degli anziani, il senso dell’ospitalità, la saggia conservazione delle tradizioni, il gusto della festa e del simbolo, l’attaccamento al dialogo e alla conversazione per regolare le divergenze. Tutto questo costituisce un vero tesoro da cui voi potete e dovete trarre del nuovo per l’edificazione del vostro paese, su un modello originale e tipicamente africano, fatto di armonia tra i valori del suo passato culturale e i dati più accettabili della civiltà moderna. Su questo piano preciso, restate molto vigilanti di fronte ai modelli della società che sono fondati sulla ricerca egoistica del benessere individuale e sul dio-danaro, o sulla lotta di classe e la violenza dei mezzi. Ogni materialismo è una sorgente di degradazione per l’uomo e di asservimento della vita in società.

5. Andiamo ancora più lontano nella chiara visione della strada da seguire o da riprendere. Qual è il vostro Dio? Senza nulla ignorare delle difficoltà che le mutazioni socio-culturali della nostra epoca causano a tutti i credenti, ma anche pensando a tutti coloro che lottano per conservare la fede, io oso dire in breve e con insistenza: levate il capo! Guardate con occhi nuovi verso Gesù Cristo! Io mi permetto di chiedervi amichevolmente: avete avuto conoscenza della lettera che io ho scritto l’anno scorso a tutti i cristiani su Cristo redentore? Nel solco dei Papi che mi hanno preceduto, Paolo VI specialmente, io mi sono sforzato di scongiurare la tentazione e l’errore dell’uomo contemporaneo e delle società moderne di relegare Dio e di mettere fine all’espressione del sentimento religioso. La morte di Dio nel cuore e nella vita degli uomini è la morte dell’uomo. Io scrivevo in quella lettera: “L’uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo - non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere - deve, con la sua inquietudine e incertezza ed anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo. Egli deve, per così dire, entrare in lui con tutto se stesso, deve “appropriarsi” ed assimilare tutta la realtà della incarnazione e della redenzione per ritrovare se stesso. Se in lui si attua questo profondo processo, allora egli produce frutti non soltanto di adorazione di Dio, ma anche di profonda meraviglia di se stesso. Quale valore deve avere l’uomo davanti agli occhi del Creatore se “ha meritato di avere un tanto nobile e grande Redentore”, se “Dio ha dato il suo Figlio” affinché egli, l’uomo, “non muoia, ma abbia la vita eterna”” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 10)! Sì, carissimi giovani, Gesù Cristo non è un predatore dell’uomo, ma un salvatore. Ed egli vuole liberarvi, per fare, di voi tutti e di ciascuno, dei salvatori nel mondo studentesco di oggi come nelle professioni e responsabilità importanti che voi assumerete domani.

6. Allora, cessate di pensare in silenzio o di dire ad alta voce che la fede cristiana è buona solamente per i bambini e per la gente semplice. Se ella appare ancora così è perché degli adolescenti e degli adulti hanno gravemente trascurato di far crescere la loro fede sul ritmo del loro sviluppo umano. La fede non è un grazioso vestito per il tempo dell’infanzia. La fede è un dono di Dio, una corrente di luce e di forza che viene da lui e deve illuminare e dinamizzare tutti i settori della vita, a mano a mano che essa si radica nelle responsabilità. Decidetevi, fate decidere i vostri amici e i vostri compagni studenti ad assumere i mezzi di una formazione religiosa personale, degna di questo nome. Profittate degli assistenti spirituali e degli animatori messi a vostra disposizione.

Con loro allenatevi a fare la sintesi fra le vostre conoscenze umane e la vostra fede, fra la vostra cultura africana e la modernità, fra il vostro ruolo di cittadini e la vostra vocazione cristiana.

Celebrate la vostra fede e imparate a pregare insieme. Voi ritroverete così il senso della Chiesa che è una comunione nello stesso Signore fra i credenti che se ne vanno in seguito in mezzo ai loro fratelli e sorelle per amarli e servirli alla maniera di Cristo. Voi avete un bisogno vitale di inserimento nelle comunità cristiane, fraterne e dinamiche. Frequentatele assiduamente. Animatele del soffio della vostra giovinezza. Costruitele se esse non esistono. È così che cadrà la vostra tentazione di andare a cercare altrove - in gruppi esoterici - ciò che il cristianesimo vi apporta in pienezza.

7. Logicamente, l’approfondimento personale e comunitario di cui vi abbiamo parlato deve condurvi a degli impegni apostolici concreti. Molti fra voi sono già su questa via, io mi felicito con loro. Giovani della Costa d’Avorio, oggi, il Cristo vi chiama attraverso il suo rappresentante sulla terra. Egli vi chiama esattamente come ha chiamato Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni e gli altri apostoli. Vi chiama a edificare la sua Chiesa, a costruire una società nuova. Venite in massa!

Prendete posto nelle vostre comunità cristiane! Offrite regalmente il vostro tempo e i vostri talenti, il vostro cuore e la vostra fede per animare le celebrazioni liturgiche, per prendere parte all’immenso lavoro catechetico presso i bambini, gli adolescenti e anche gli adulti, per inserirvi nei numerosi servizi a beneficio dei più poveri, degli analfabeti, degli handicappati, degli isolati, dei rifugiati e dei migranti, per animare i vostri movimenti di studenti, per operare nelle istanze di difesa e di promozione della persona umana. In verità il cantiere è immenso ed entusiasmante per dei giovani che si sentono traboccanti di vita.

Il momento mi sembra del tutto indicato per indirizzarmi ai giovani che stanno per ricevere il sacramento della confermazione, precisamente per entrare in una nuova tappa della loro vita battesimale: la tappa del servizio attivo nell’immenso cantiere dell’evangelizzazione del mondo.

L’imposizione delle mani e l’unzione dal santo crisma significheranno realmente ed efficacemente la venuta piena dello Spirito Santo nel più profondo della vostra persona, all’incrocio in qualche modo delle vostre facoltà umane d’intelligenza in cerca di verità e di libertà, in cerca d’ideale. La vostra confermazione di oggi è la vostra Pentecoste per la vita! Prendete coscienza della serietà e della grandezza di questo sacramento. Quale sarà d’ora innanzi il vostro stile di vita? Quello degli apostoli all’uscita dal cenacolo! Quello dei cristiani di ogni epoca, energicamente fedeli alla preghiera, all’approfondimento e alla testimonianza della fede, alla frazione del pane eucaristico, al servizio del prossimo e soprattutto dei più poveri (cf. At 2,42-47). Giovani cresimati di oggi o di ieri, avanzate tutti sulle strade della vita come dei testimoni ferventi della Pentecoste, sorgente inesauribile di giovinezza e di dinamismo per la Chiesa e per il mondo.

Aspettatevi di incontrare talvolta la opposizione, il disprezzo, la derisione. I veri discepoli non sono di più del maestro. Le loro croci sono come la passione e la croce di Cristo: sorgente misteriosa di fecondità. Questo paradosso della sofferenza offerta e feconda è verificato da venti secoli lungo la storia della Chiesa.

Lasciate infine che vi assicuri che tali impegni apostolici vi preparano non solamente a portare le vostre pesanti responsabilità future, ma ancora a fondare dei solidi focolari, senza i quali una nazione non può a lungo reggersi in piedi; e ciò che più conta, dei focolari cristiani che sono altrettante cellule di base della comunità ecclesiale. Sono degli impegni che guideranno alcuni di voi verso il dono totale a Cristo, nel sacerdozio o nella vita religiosa. Le diocesi della Costa d’Avorio, come tutte le diocesi dell’Africa, hanno il diritto di contare sulla vostra generosa risposta alla chiamata che il Signore fa certamente intendere a parecchi tra voi: “Vieni e seguimi”.

Fuoco di paglia questa celebrazione? Fuoco di paglia questa meditazione? I testi liturgici di questa sesta domenica di Pasqua ci affermano il contrario. Il Vangelo di Giovanni ci attesta che lo Spirito Santo abita i cuori amanti e fedeli dei discepoli di Cristo. Il suo ruolo è di ravvivare la loro memoria di credenti, di illuminarli in profondità, di aiutarli a rispondere ai problemi del loro tempo, nella pace e nella speranza di questo mondo nuovo evocato nella lettura dell’Apocalisse.

Che questo stesso Spirito Santo ci unisca tutti e ci consacri tutti al servizio di Dio nostro Padre e degli uomini nostri fratelli, per Cristo, in Cristo e con Cristo! Amen!"