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Saint Crispin of Viterbo - San Crispino

Professed religious, Order of Friars Minor Capuchin
Pietro Fioretti born on 13 November 1668 in Bottarone, Viterbo
Died on 19 May 1750 in Rome
Beatified on 7 September 1806 by Pope Pius VII
Canonized on 20 June 1982 by St John Paul II
Shrine: Santa Maria della Concezione dei Cappuccini, Rome
His remains were exhumed in 1959 & found to be incorrupt
Feast day - 19th May (21st May for Capuchins)

Pope St John Paul II's homily at the Canonization of Blessed Crispin
St Peter's Basilica, 20 June 1982 - in Italian & Portuguese

"Carissimi fratelli e sorelle.
1. È questo un giorno solenne per noi, invitati a contemplare la gloria celeste e la gioia indefettibile di Crispino da Viterbo, annoverato dalla Chiesa tra il numero dei Santi, tra coloro che hanno raggiunto, dopo il pellegrinaggio terreno, la visione beatifica del Dio vivente, Padre, Figlio e Spirito Santo, offrendoci incoraggiante conferma dell’affermazione paolina: “Le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Rm 8, 18).

Giorno di letizia soprattutto per i religiosi dell’Ordine Francescano dei Frati Minori Cappuccini, i quali, mentre si rallegrano per l’onore tributato a questo confratello, che ha avuto fame e sete della giustizia e ne è stato saziato (cf Mt 5, 6), elevano il loro ringraziamento all’Onnipotente per la misericordiosa bontà, con cui ha voluto loro donare un nuovo confessore della fede, che, in quest’anno celebrativo dell’ottavo centenario della nascita di san Francesco si aggiunge agli altri santi della grande Famiglia dei Cappuccini.

Nel dichiarare santo Crispino da Viterbo, decretando che egli sia devotamente venerato come tale, ad onore della santissima Trinità e ad incremento della vita cristiana (cf Formula Canonizationis), la Chiesa ci assicura che l’umile religioso ha combattuto la buona battaglia, ha conservato la fede, ha perseverato nella carità, conseguendo la corona di giustizia preparatagli dal Signore (cf 2 Tm 4, 7-8). Veramente fra’ Crispino, durante la vita terrena, stette davanti al Signore, al suo servizio, ed il Signore è ora per sempre la sua eredità felice (cf Dt 10, 8-9).

Per seguire Cristo Gesù, egli ha rinnegato se stesso, cioè gli ideali puramente umani, ed ha assunto la propria croce, la tribolazione quotidiana, i limiti personali ed altrui, solo preoccupato di imitare il Maestro divino, salvando così in senso perfetto e definitivo la propria vita (cf Mt 16, 23-25). “Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?” (Mt 16, 26). L’interrogativo evangelico, letto or ora, ci interpella e ci invita a fissare lo sguardo su quella mèta felice, che è già possesso del nostro santo e che anche a noi è riservata con assoluta certezza, nella misura in cui sapremo rinnegare noi stessi e seguire il Signore, portando il peso della nostra giornata di operai laboriosi.

Salga, in questo momento, la nostra gratitudine commossa verso Dio, autore della Grazia, che ha condotto il suo servo fedele Crispino alla più alta perfezione evangelica, implorando al tempo stesso, per sua intercessione, di “praticare incessantemente la vera virtù, alla quale è promessa la pace beata del cielo” (Oratio diei).

2. Ed ora vogliamo riflettere in modo particolare sul messaggio di santità di fra’ Crispino da Viterbo.

Era il periodo dell’assolutismo di Stato, di lotte politiche, di nuove ideologie filosofiche, di inquietudini religiose (si pensi al Giansenismo), di progressivo allontanamento dai contenuti essenziali del Cristianesimo. L’umanità nel suo doloroso travaglio storico, alla ricerca incessante di più alti traguardi di progresso e di benessere, è ricorrentemente tentata di falsa autonomia, di rifiuto delle categorie evangeliche, per cui ha bisogno imprescindibile di santi, cioè di modelli che esprimano concretamente, dal vivo, la realtà della Trascendenza, il valore della Rivelazione e della Redenzione operata da Cristo.

Questa appunto, nell’autosufficiente secolo dei lumi, in cui egli visse, fu la missione di san Crispino da Viterbo, umile frate cappuccino, cuoco, infermiere, ortolano, e poi per quasi quarant’anni questuante in Orvieto, a servizio del suo convento. Ancora una volta, per misericordia divina, le parole profetiche di Gesù trovarono in quest’umile santo realizzazione eloquente: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascoste queste cose ai sapienti ed agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te” (Mt 11, 25-26). Dio compie meraviglie mediante l’opera degli umili, degli incolti e dei poveri, perché si riconosca che ogni incremento salvifico, anche terreno, corrisponde ad un disegno del suo amore.

3. Il primo aspetto di santità che desidero rilevare in san Crispino è quello della letizia. La sua affabilità era nota a tutti gli Orvietani ed a quanti lo avvicinavano, e la pace di Dio che sorpassa ogni intelligenza custodiva il suo cuore ed i suoi pensieri (cf Fil 4, 5-7). Letizia francescana la sua, sostenuta da un carattere ricco di comunicativa ed aperto alla poesia, ma soprattutto derivante da un grande amore verso il Signore e da una fiducia invitta nella sua Provvidenza. “Chi ama Dio con purità di cuore – soleva dire – vive felice e poi contento muore”.

4. Un secondo atteggiamento esemplare è certamente quello della sua eroica disponibilità verso i confratelli, come pure verso i poveri ed i bisognosi di ogni categoria. A questo proposito, infatti, si deve dire che l’impegno principale di fra’ Crispino, mentre umilmente questuava i mezzi di sussistenza per la sua famiglia conventuale, fu quello di donare a tutti aiuto spirituale e materiale, divenendo espressione vivente di carità. Ha veramente dell’incredibile l’opera da lui svolta in campo religioso ed assistenziale, per la pace, la giustizia e la vera prosperità. Nessuno sfugge alla sua attenzione, alle sue premure, al suo buon cuore, ed egli va incontro a tutti attingendo alle più perspicaci risorse ed anche ad interventi, che si presentano nella cornice dello straordinario.

5. Altro particolare impegno della sua vita santa fu quello di svolgere una catechesi itinerante. Egli era un “laico dotto”, che coltivava con i mezzi a sua disposizione la conoscenza della Dottrina Cristiana, non tralasciando, al tempo stesso, di istruire gli altri nella stessa verità. Il tempo della questua era il tempo della evangelizzazione.

Incoraggiava alla fede ed alla pratica religiosa con un linguaggio semplice, popolarmente gustoso, fatto di massime ed aforismi. La sua saggia catechesi divenne ben presto nota ed attirò personaggi dell’ambiente ecclesiastico e civile, ansiosi di avvalersi del suo consiglio. Ecco, ad esempio, una sua illuminante e profonda sintesi della vita cristiana: “La potenza di Dio ci crea, la sapienza ci governa, la misericordia ci salva”. Le massime traboccavano dal suo cuore, sollecito di offrire col pane, che sostenta il corpo, il cibo che non perisce: la luce della fede, il coraggio della speranza, il fuoco dell’amore.

6. Infine, desidero sottolineare la sua tenera ed insieme vigorosa devozione a Maria santissima, che egli chiamava la “mia Signora Madre” e sotto la cui protezione condusse la sua vita di cristiano e di religioso. All’intercessione della Madre di Dio fra’ Crispino affidò suppliche ed affanni umani incontrati lungo la strada del suo questuare, e quando veniva sollecitato a pregare per gravi casi e situazioni soleva dire: “Lasciami parlare un poco con la mia Signora Madre e poi ritorna”. Risposta semplice, ma totalmente intrisa di sapienza cristiana, che dimostrava totale confidenza nella sollecitudine materna di Maria.

7. La vita nascosta, umile ed ubbidiente di san Crispino, ricca di opere di carità e di saggezza ispiratrice, reca un messaggio per l’umanità di oggi, che come quella della prima metà del ‘700 attende il passaggio confortante dei santi. Egli, autentico figlio di Francesco d’Assisi, offre alla nostra generazione, spesso inebriata dai suoi successi, una lezione di umile e fiduciosa adesione a Dio ed ai suoi disegni di salvezza; di amore alla povertà ed ai poveri; di ubbidienza alla Chiesa; di affidamento a Maria, segno grandioso di misericordia divina anche nell’oscuro cielo del nostro tempo, secondo il messaggio incoraggiante scaturito dal suo Cuore Immacolato per la presente generazione.

Eleviamo la nostra preghiera al nostro Santo che ha raggiunto la gioia definitiva del cielo dove non esiste “né morte, né lutto, né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21, 4).

O san Crispino, allontana da noi la tentazione delle cose caduche ed insufficienti, insegnaci a comprendere il vero valore del nostro pellegrinaggio terreno, infondici il necessario coraggio per compiere sempre tra gioie e dolori, tra fatiche e speranze, la volontà dell’Altissimo.

Intercedi per la Chiesa e per l’umanità intera, bisognosa di amore, di giustizia e di pace.

Amen! Alleluia!"

Biography of St Crispin given by the Vatican
- also in Portuguese

Fra Crispino nacque a Viterbo il 13 novembre 1668 dai coniugi Ubaldo Fioretti e Marzia Antoni. Fu battezzato il 15 dello stesso mese col nome di Pietro. Ubaldo uscirà presto dalla scena lasciando il figlio orfano ancora in tenera età e Marzia vedova per la seconda volta. A prendersi cura del bambino subentrerà lo zio paterno Francesco che gli consentirà di frequentare con profitto le scuole primarie presso i gesuiti, per poi accoglierlo come apprendista nella sua bottega di calzolaio.

La piissima genitrice, dal canto suo, riversa sul piccolo Pietro le più pure e profonde attenzioni materne. In una visita al santuario della Quercia, additando al bambino l'immagine della Vergine, gli dice: « Vedi, quella è la tua madre e la tua signora; in avvenire amala e onorala come tua madre e tua signora». Il futuro Religioso le erigerà ovunque un altarino e le offrirà sempre « i fiori più belli ». Pietro Fioretti si sarebbe deciso a farsi cappuccino in occasione di una processione penitenziale che si svolgeva a Viterbo per impetrare la pioggia in tempo di grave siccità. In quella processione sfilavano esemplarmente anche i novizi scesi dal convento della Palanzana. Fu l'ultimo tocco della grazia per la sua definitiva risoluzione. Infatti il 22 luglio 1693, venticinquenne, farà ingresso proprio nel suddetto convento per compiervi l'anno di noviziato. Destinato di Comunità in vari conventi del Lazio (Tolfa, Roma, Albano, Monterotondo) ed in quello di Orvieto ove rimase per circa quarant'anni, vi eserciterà gli umili e gravosi uffici di infermiere, cuciniere, ortolano e questuante. La sua vita di religioso trascorrerà sul filo di 57 anni totalmente consacrati al servizio di Dio e dei fratelli. Ha dell'incredibile l'opera da lui svolta in campo assistenziale per riportare pace, giustizia e serenità nell'intimo delle coscienze. Crediamo di rendere omaggio ai carismi che lo Spirito elargisce se diciamo che fra Crispino si rese in modo singolare risonanza evangelica su tutti i fronti. Nessuno infatti sfugge alle sue attenzioni: artisti, commercianti, agenti di polizia (allora chiamati sbirri), carcerati, orfani, infermi, contadini, ragazze madri, anime consacrate. E questo non soltanto durante il quarantennio orvietano, quando l'apostolato della bisaccia incontro al pane colmava di occasioni prossime la sua giornata. Quantunque appartengano proprio a quel periodo completivo della sua vita le manifestazioni più avvincenti della sua sensibilità sociale.

Fra Crispino ha al suo attivo altri 18 anni di consacrazione religiosa trascorsi nel chiuso della cucina, nel recinto claustrale dell'orto e - gli ultimi due, con distacco - nell'infermeria alle prese con i propri acciacchi preludenti al tramonto. Come abbia potuto effondere tanta saggezza illuminante ed ispiratrice anche in questa fase di vita nascosta, non è facile comprenderlo. La discreta formazione culturale attinta nella giovinezza e la stessa giovialità congeniale, maturate poi in una comunicativa fiorita di poesia e di penetranti aforismi, non spiegano a sufficienza il fascino esercitato dall'umile cuciniere di Albano su personalità di altissimo rango. È vero che molti, specialmente prelati, confluivano comunque in quei luoghi ameni e ricreativi. Ma rimane il fatto che tutti, nobili e dotti, a cominciare dal papa Clemente XI, amavano conversare con lui e sollecitavano il suo consiglio. E né umanamente si possono intendere casi eclatanti di riconciliazione avvenuti allorché l'obbedienza consegnerà a fra Crispino la zappa di ortolano nel più solitario convento di Monterotondo. Da non dimenticare infine le centinaia di lettere, semplici ed essenziali, latrici su più vasto raggio della sua inesauribile carità. Un uomo dunque pieno di amore, che da autentico figlio del Serafico di Assisi edifica tutti, fraternizza con tutti e rende gloria a Dio con le note del Cantico delle Creature.

Ma forse rifletteremo su quel che più conta se dopo aver veduto fra Crispino tutto donato agli altri, lo ridoneremo per un momento a se stesso. Egli ha inteso innanzitutto santificarsi, attuare in minorità di vita quella che noi oggi, con tanta inventiva nei metodi, chiamiamo formazione permanente.

Da giovane aveva frequentato le scuole classiche, ma in religione prende per maestro un Fratello meno fortunato di lui negli studi, vissuto circa un secolo e mezzo prima, dallo stile di vita tanto simile al suo, canonizzato dal Papa suo amico: è Felice da Cantalice. Fra Crispino studierà per tutta la vita le uniche sei " lettere " di cui era a conoscenza il primogenito dei Santi cappuccini: le piaghe di Cristo e la Madonna. La gioia, la cortesia e l'illuminata comunicabilità, diventate in lui proverbiali, suppongono un esercizio di penitenza e di immolazione incessanti. Crocifisso ai suoi voti, ha condiviso il sacrificio comunitario sino al canto dell'ecce quam bonum. E deve essere stato davvero grande il suo amore se non di rado accorreva in vari conventi per curare e confortare i confratelli infermi con grave rischio per la propria salute.

Nonostante tutte le testimonianze di venerazione e di affetto, a fra Crispino non mancarono insidie, umiliazioni, incomprensioni e croci. E questo era scontato per un religioso come lui. Infatti il suo coerente impegno nella realizzazione dell'ideale evangelico lo poneva non solo al centro dell'attenzione, ma anche in conflitto permanente con la realtà che lo circondava.

Fra Crispino non ammetteva nella sua vita le donazioni calibrate, le mezze misure, i compromessi, le riserve. Rinunciò fin dalla prima ora a battere la strada della mediocrità e si sintonizzò perfettamente col radicalismo evangelico. Basta ascoltarlo: "Amiamo Dio di tutto cuore "; " tutto abbiamo da operare per amor di Dio ". Rivolgendosi ad un confratello gli dichiara: " Se vuoi salvarti l'anima, hai da servare le seguenti cose: amar tutti, dir bene di tutti e far bene a tutti ". Nelle difficoltà riprendeva vigore ripetendo a se stesso: " Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena m'è diletto "; oppure ritrovava il sereno al pensiero che " quando l'uomo fa dal canto suo tutto ciò che sa e può, nel restante deve gettarsi nel mare della misericordia di Dio ".

Era esigentissimo con se stesso, e perciò aveva il coraggio evangelico di chiedere molto anche agli altri e particolarmente ai suoi confratelli. Voleva che la vita religiosa fosse impegnata, austera, ricca di opere buone, lievitata da un continuo e dinamico fare penitenza.

Fra Crispino fu esemplare nella vita di fraternità, soprattutto attraverso un servizio sollecito, umile, inventivo e gioioso ai fratelli. In tutta la sua vita si distinse nella povertà evangelica. Sobrio nell'uso delle cose, fu alieno da qualunque superfluità o ricercatezza. Nel suo ufficio di questuante seppe unire la più grande carità ad un vivissimo senso del puro necessario. In convento doveva giungere soltanto la Provvidenza da benedire e ringraziare. Una povertà, dunque, fatta mistero di amore e di condivisione. Intese il dovere e l'attrattiva della purezza in modo eminente. Per la salvaguardia di questa virtù si avvalse di tre mezzi: una singolarissima devozione alla Vergine, la preghiera, la penitenza. Divenne modello di obbedienza, intesa come fonte viva di gioia perenne e mezzo efficace per conservare la pace personale e l'armonia fraterna.

Fra Crispino è il santo della gioia, di quella gioia cristiana che è frutto dell'ascolto e della interiorizzazione della parola di Dio, della pacificazione e comunione con i fratelli. Egli ha amato il Signore perdutamente nei battiti del faticoso quotidiano vissuto. Con ansia ha ricercato il volto di Dio, ha polarizzato tutte le sue energie a contraccambiare l'amore di Dio.

Ad un buon parroco, travagliato da grandi ansietà spirituali, fra Crispino dà consigli tali che un provetto maestro di spirito non potrebbe far di meglio: " Si faccia animo grande e virile ... vada allegramente (a compiere doveri spesso tanto delicati), non facendo caso del turbamento ... Procuri ... stare allegro nel Signore e divertirsi in cose geniali, ma buone e sante, quando però è assalito dalla malinconia... Se la nostra vita è una continua guerra, è segno che siamo destinati per misericordia di Dio ad essere dei principi grandi in paradiso ".

Questa è l'ultima lettera e la più lunga tra le pubblicate. Vi è in essa delicatezza di tratto, penetrazione psicologica e sicurezza di guida spirituale. Si può considerare come il testamento e, insieme, uno dei più espressivi ritratti della fisionomia spirituale di fra Crispino. Caduto gravemente infermo durante l'inverno 1747-48, il 13 maggio lasciò il convento di Orvieto per la volta di Roma. Quando, due anni dopo, l'infermiere lo avvisò che la morte era ormai vicina, rispose rassicurando che non sarebbe morto il 18 maggio per " non turbare la festa di san Felice ". Infatti morì il giorno seguente: 19 maggio 1750.

Le sue spoglie mortali sono esposte alla venerazione dei fedeli in una cappella della chiesa dell'Immacolata Concezione in via Vittorio Veneto, Roma.

Il 7 settembre del 1806 venne proclamato " Beato " da Pio VII.

Tre circostanze rendono particolarmente toccante il faustissimo evento della canonizzazione: avviene entro l'anno celebrativo dell'8° centenario della nascita di san Francesco; durante il mese che vede l'Ordine di fra Crispino congregato in uno dei suoi più importanti Capitoli Generali; è la prima ad essere decretata da Giovanni Paolo II in quattro anni di pontificato.